di Michele Campostella
Giuliano Di Bernardo, per due volte Gran Maestro della massoneria italiana (G.O.I. e G.L.R.I.), torna a far parlare di sé, e lo fa attraverso una lunga intervista concessa ad “Antimafia Duemila”, piattaforma giornalistica on-line di informazioni su cosa nostra, ‘ndrangheta e sistemi criminali connessi.
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Nel corso di questa intervista Di Bernardo ha affrontato il tema dei legami tra ‘ndrangheta, mafia e massoneria; l’esistenza di sistemi di potere che si avvalgono di Logge “coperte” come “camere di compensazione” tra imprenditoria e criminalità organizzata; la necessità di trasparenza e la questione morale nella massoneria italiana; il ruolo della P2 in Italia; l‘influenza della massoneria all’estero, soprattutto in Sud America; infine il rischio di una “Guerra Totale”, in conseguenza dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente.
La scorsa estate Di Bernardo, come fece negli anni Novanta, ha denunciato l’esistenza di “inquietanti compromissioni” e “condotte tremende”, affrontando (attraverso una Lettera aperta a tutte le Logge d’Italia) i casi che hanno riguardato le condanne per fatti di mafia di due “Venerabili” siciliani e l’arresto di Alfonso Tumbarello, medico che ha curato il boss Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza, e che per questo è stato accusato, ed è sotto processo, per concorso esterno in associazione mafiosa e falso.
Un incrocio continuo tra passato e presente per evidenziare quegli “ibridi connubi fra criminalità organizzata, centri di poteri extraistituzionali e settori devianti dello Stato” dei quali aveva parlato anche Giovanni Falcone.
In tutto ciò Di Bernardo non ha mancato di mettere in luce l’atteggiamento “negazionista” degli attuali vertici del Grande Oriente d‘Italia, i quali – anche attraverso stratagemmi giuridici interni posti in essere in totale spregio dei Regolamenti – tentano continuamente di minimizzare i pesanti fatti infiltrativi mafio-‘ndranghetisti nel tessuto della massoneria cosiddetta “regolare”, fatti riportati con sempre maggior frequenza dalle recenti cronache giudiziarie.
La denuncia di tale atteggiamento “negazionista”, se non di compiacenza almeno di omertoso silenzio, è stata recentemente avanzata anche da altri importanti esponenti della massoneria italiana, come ad esempio il Professor Claudio Bonvecchio, fino allo scorso anno Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia (poi espulso per le sue posizioni di difesa della Costituzione Repubblicana), e Leo Taroni, ex Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, oggi candidato – con la Lista “Noi Insieme” – alle elezioni per il rinnovo della Gran Maestranza del G.O.I., che ha parlato espressamente della necessità di affrancarsi da quella “mentalità mafiosa” che tanto male ha fatto e sta continuando a fare all’immagine della massoneria nazionale.
Abbiamo raggiunto il Professor Di Bernardo nella sua casa di Trento, al fine di potergli rivolgere alcune domande più specifiche nell’ottica del prossimo importante appuntamento elettorale del 2 marzo 2024.
INTERVISTA
Professore, dopo il lungo colloquio concesso ad “Antimafia Duemila”, in molti si sono chiesti quale sia il suo pensiero circa le elezioni per il rinnovo della Gran Maestranza nel Grande Oriente d‘Italia. A questo proposito Le domando un giudizio storico sulla Calabria massonica, che tanta parte avrà proprio in merito a questa decisiva tornata elettorale.
Lei mi chiede un giudizio sulla Calabria massonica fra ieri e oggi?
Esatto Professore, ben sapendo che molte delle attuali criticità presenti nel Grande Oriente d’Italia risiedono proprio in quella Regione.
Guardi, non ho difficoltà a dirLe che la Calabria presenta una delle pagine di storia più nobili della Libera Muratoria italiana. Basterebbe pensare a Giuseppe Logoteta, cui credo sia ancora intitolata una delle Logge di Reggio Calabria, una delle più antiche fra quelle ricostituitesi al ritorno della democrazia, dopo la Seconda guerra mondiale. Una Loggia che, nel capoluogo reggino, si accompagna – se ben ricordo – a quelle intitolate a Giovanni Bovio e nientemeno che a Pitagora. Tutte Logge che, gemmando per processo naturale, hanno successivamente prodotto altre compagini simboliche, che trovano i loro titoli distintivi in uomini dell’eccellenza democratica come Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, ma anche Domenico Romeo, il patriota che dopo il fallimento dell’impresa eroica dei fratelli Bandiera, giustiziati a Vallone di Rovito, rilanciò i moti antiborbonici e per l’unità della patria, sventolando il tricolore in Aspromonte quindici anni prima dell’unità italiana!
Tutta la sua famiglia fu coinvolta, eppure non mancarono i traditori. Il governo provvisorio che egli aveva promosso a Reggio durò poco: Romeo fu assassinato e decapitato, la sua testa venne esposta a monito degli irrequieti… Questo per dire la Calabria! Sono contento che una Loggia calabrese ricordi ed onori il suo nome.
Ma vorrei dire che tutta la bisecolare storia massonica calabrese vive oggi esemplare ed ammonitrice, se solo la si sapesse esplorare… So che oggi sono un’ottantina le Logge calabresi, e molte di esse portano un “nome” che da solo dovrebbe segnalarle per un portato di valori e tradizioni di democrazia conquistata. Vado a memoria: fra le più antiche ricordo la Campanella, la Ferrari, l’Amendola, la Carducci – che nomi!
Ho sempre pensato che fra le prime ragioni di affezione dei nuovi Fratelli alla Libera Muratoria dovesse esserci quello dello sviluppo di una consentaneità ideale con il titolare della propria Loggia. Figurarsi: i Pitagorici, Bernardino Telesio, naturalmente Giordano Bruno… ma anche Francesco Sprovieri, Michele Morelli (nome oggi dolosamente sporcato da un manipolo di contro-iniziati), Luigi Minicelli – camicia rossa, un popolano che fu uno dei Mille! –, Battista Martelli – uomo del Novecento, che ebbe intelligenza con i massoni americani e primo fra tutti seppe del prossimo sbarco liberatore in Sicilia nel 1943 –, Francesco Saverio Salfi, Michele Bello, e poi naturalmente Oreste Dito… tutti nomi che adesso mi sovvengono e che sembrano ricordare, senza alcuna vana retorica, le glorie passate che è un dovere assoluto rivivere materializzandole in una sequela civile! E lo affermo riflettendo su un “oggi” tanto diverso, anche per i motivi connaturati alla nostra società liquida, da quello conosciuto da quegli uomini di tanta levatura e prestigio morale.
Una storia passata che… è venuta meno e deve considerarsi dimenticata o, come dice Lei, una storia che può e deve restare di attualità in un presente tanto diverso dalle epoche alle quali quei nomi, tutti illustri, fanno riferimento? Quale dei due scenari si è affermato?
La massoneria è una società di tradizione che rivive e rielabora le sue fonti, il suo vissuto, adeguandolo sempre e sempre ai nuovi tempi. L’oggi è fecondato dallo ieri, non può essere che così. È perfino un dato di natura.
Michele Morelli, negli anni murattiani, fu un ufficiale che incrociò la Carboneria, finì impiccato dai Borbone pochi anni dopo il congresso di Vienna, al tempo dei primi moti liberali anche in Piemonte, con il Santarosa. E Salfi, che era un suo contemporaneo, ed era stato prete fra i più accesi critici della teocrazia pontificia, fu segretario della Repubblica napoletana e Venerabile di Loggia, poeta e librettista, scrisse una storia della letteratura italiana e conobbe il sale dell’esilio… Lo ripeto: quante figure d’eccezione ha offerto la Calabria alla democrazia italiana! Così Michele Bello, rivoluzionario di matrice mazziniana, che a Gerace anticipò i moti costituzionali delle due Sicilie del 1848, fu fucilato poco più che ventenne… Di questo sangue, di questo esempio si nutrì la massoneria calabrese che Oreste Dito ci ha raccontato in molte delle sue pagine. Questo sangue è un sangue ancora fresco, che parla a tutti i massoni italiani!
Ma poi, accennato all’inizio, come non tornare a Giuseppe Logoteta, il “Socrate delle Calabrie”! Sul suo conto raccomando la lettura di un breve ma importante saggio di Antonio Lo Schiavo. Era legatissimo all’abate Jerocandes, fondò la più antica Loggia reggina. Certo era, quella di Logoteta, una massoneria diversa da quella attuale: basti pensare che all’ordine del giorno delle Tornate di Loggia erano riflessioni politiche tutte volte naturalmente a come democratizzare le province meridionali, a come liberarsi dal residuo feudalesimo nelle terre, a come regolare i rapporti di lavoro, a come smantellare i pregiudizi classisti di certa aristocrazia. Entrò, Logoteta, nelle logiche della Repubblica partenopea e fu commissario repubblicano per le Calabrie – le Calabrie proprio al plurale – ma, caduta la Repubblica, finì impiccato. Uno stoico. Altro sangue… e altri legami che ci chiamano all’onore e alla dignità.
Tutta questa rassegna, professore, a cosa porta? Cosa La induce a concludere?
A concludere che una società di tradizione vive di esempi da imitare, così da offrirsi a sua volta come esempio nei tempi futuri, alle generazioni massoniche che verranno ad affollare i Templi simbolici, a ripetere le formule rituali, a lavorare di cuore e di mente sui grandi valori della libertà e della prossimità, della uguaglianza e del costruire insieme, da Compagni veri e da Maestri veri.
I repressori, i Borbone di ieri, ci sono anche oggi, ed hanno i nomi della malavita organizzata ed hanno anche le coperture più varie: coperture di uomini e di istituzioni perfino, ma coperture anche in una certa mentalità che può diffondersi a livello sociale, quella che non rileva gli abusi, le forzature e i reati, e passa poi a condividerli per omertà e convenienza.
Veda, c’è un libro molto bello sulla storia massonica calabrese dalla unità alla dittatura fascista. Lo ha scritto una giovane ricercatrice molto brava, Rosalia Cambareri. Questo libro, di cui pure consiglio la lettura, è prefato da Ettore Loizzo, che fu Gran Maestro aggiunto con Armando Corona, il mio predecessore a capo del Grande Oriente d’Italia negli anni ’80. Era cosentino, abile ingegnere, certamente era un uomo di sinistra, comunista addirittura, ancora in quei tempi; fu anche amministratore locale. Al tempo della mia Gran Maestranza con lui ebbi ovviamente diversi contatti, ed una volta, ad una mia domanda esplicita, mi rispose che 28 logge sulle 32 del tempo erano infiltrate, o comunque condizionate, dalla ‘ndrangheta. Ne fui sorpreso, addolorato, direi anche impaurito per quelle dimensioni del male che non avrei potuto, da solo, affrontare e stroncare. Ne parlai con il giudice Cordova, che me ne chiese. Quando domandai a Loizzo perché egli non si fosse battuto, conoscendo l’ambiente, contro una proliferazione così pervadente del male, alluse mestamente al bisogno di non esporre sé e la sua famiglia ai rischi che evidentemente gli erano stati prospettati…
E quindi?
E quindi io non so davvero come si sia trasformata la realtà massonica calabrese dacché ebbi quelle confidenze da Loizzo, sono trascorsi trent’anni. Leggo notizie di stampa, nella giudiziaria, che sono allarmanti. Ma pure non cedo a una vulgata che riporta tutta la Libera Muratoria calabrese in un cerchio triste e avvilente di connivenza con la malavita organizzata. Non cedo. E non credo assolutamente che, oggi, nessuno, proprio nessuno, nelle logge calabresi di Catanzaro o Vibo, di Reggio e di Cosenza, ecc. ricordi i nomi e gli esempi di vita, di vita privata e di vita pubblica, di Morelli e di Bello, di Logoteta e di Salfi, o di Francesco Sprovieri, giurista e anche però uomo d’azione, con Garibaldi nella terza guerra d’indipendenza, e poi deputato e senatore, scomparso all’inizio del nuovo secolo… No, io credo e certamente spero che, nella vita feriale delle logge, in quella ordinaria cioè, e tanto più in questa prossima circostanza del rinnovo elettorale dei vertici del GOI i migliori Fratelli calabresi di tutte le ottanta logge della Circoscrizione sappiano trovare elementi di… resurrezione! Di rilancio delle virtù che sono importanti nella vita del massone e della massoneria, come lo è l’ossigeno per i polmoni.
Negli anni della mia Gran Maestranza la Loggia Giovanni Battista Martelli promosse alcuni dibattiti sulla storia massonica calabrese, che ebbero vasta eco. So che questa iniziativa si è protratta per almeno un decennio. Una bella cosa davvero.
Non ho titolo alcuno per entrare nel dibattito interno al Grande Oriente d’Italia e al confronto di tesi, di analisi e di proposte dei Candidati al vertice della Comunione. So che fra questi vi sono passati alti dignitari dell’Obbedienza e anche del Rito. E allora mi sovviene il nome di due Sovrani Gran Commendatori scozzesi di questa fase moderna della nostra storia postbellica: il reggente Gaetano Varcasia, che era calabro di Palmi, e fu fra i ricostruttori della massoneria italiana dopo il fascismo, e assai più recente Vittorio Colao, figlio di Catanzaro, in carica negli anni ’70. Era un repubblicano mazziniano ed era Gran Segretario cancelliere quando confluì nel Supremo Consiglio allora guidato da Giovanni Pica, quello di Piazza del Gesù, portando in dote l’antica sede e così sanando la ferita del 1908.
Ecco, vede? Vede come ritornano quei flussi virtuosi, in discesa e in salita, fra storia e cronaca, cui alludevo prima a proposito della società di tradizione?
Da cittadino della Repubblica, da massone regolarmente iniziato all’arte regia, da uomo di buona volontà, da amico – amico vero, io abruzzese con larga parte della vita trascorsa nel Nord Italia – del meridione continentale ed insulare della nostra bella patria, auspico vivamente che i Fratelli giovani e anziani delle logge di quel bellissimo territorio calabrese sappiano e vogliano donare all’Obbedienza il meglio che è nei loro talenti di cultura e di esperienza.
Se la malapianta è cresciuta in Calabria dovrebbero essere i calabresi per primi ad operare una radicale bonifica. Sono convintissimo che se veramente la Gran Maestranza ormai agli sgoccioli, poco rimpianta, avesse sostenuto i migliori della Calabria nella operazione di piena pulizia, oggi la massoneria di Reggio e di Cosenza o di Catanzaro non sarebbe chiacchierata e perfino messa sotto accusa da molti e molti osservatori indipendenti e dalla stessa magistratura. E, soprattutto, nessuno dei suoi dignitari sarebbe a rischio di imputazione penale e di sentenza di condanna perfino al terzo grado.
Professore, un’altra Regione dalle grandi tradizioni massoniche è la Sicilia… anch’essa sembra vivere le stesse contraddizioni appena elencate. Qual è il Suo rapporto con questa realtà?
Molto stretto. Le logge della Sicilia all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, distribuite dove più dove meno, sfiorano le cento. Si distribuiscono tra Palermo, che ne conta, mi pare, una trentina addirittura – press’a poco tanto quanto quelle presenti a Milano e a Torino –, e Catania con una quindicina, e nel Messinese con altrettante, nel giro comprensivo del capoluogo e di Barcellona o Taormina ecc. Per il resto – tolta un’altra decina distribuite negli altri capoluoghi provinciali – da Caltanisetta ad Enna e Ragusa, da Agrigento e Siracusa – città meravigliose, come invero tutta la Sicilia è una meraviglia – tutto il resto è, mi sembra, concentrato nella parte occidentale del Trapanese che pure non è la parte più popolosa dell’isola… Una dozzina di logge, più che nella Genova mazziniana, fra Trapani città e Marsala, Partanna e Mazara del Vallo, Campobello, Paceco e Castelvetrano.
Ha nominato Castelvetrano: Lei conosce bene anche l’attualità…
Ho buona memoria, poi cerco sempre di aggiornarmi. Ma restando sul punto: qui potrei riprendere qualche osservazione fatta per la Calabria. La Sicilia è stata una delle fonti più rigogliose delle idealità liberomuratorie in Italia e della Comunione massonica organizzata. Intanto del Risorgimento, sia durante sia dopo, con l’occidente trapanese che ha offerto esempi importanti che si riflettono nelle intitolazioni di qualche Loggia – penso ad Abele Damiani, un patriota democratico avversario dei Borbone e soldato con Garibaldi nelle campagne militari, più tardi impegnato al governo con il corregionale Francesco Crispi… Ma penso a lui nel mezzo delle tante, innumerevoli personalità della Sicilia democratica e massonica e mi viene da pensare, mentre lei mi interroga, a queste glorie siciliane che salgono e scendono fra Ottocento e Novecento… Anche il Rito Scozzese degli anni della faticosa ricostruzione, dico degli anni ’50 del Novecento, poté contare sull’intelligenza e il carisma di un Sovrano palermitano, Galliano Tavolacci, cui si deve l’impegnativa riforma dei principali rituali.
Ritorna quel concetto di “società di tradizione” cui lei si riferiva prima, sbaglio?
Proprio così. Certo restano fermi i grandi nomi di Mazzini e Garibaldi ad indicare un trascorso democratico avanzato nella militanza civile di molti, ma poi c’è anche Vittorio Emanuele Orlando grande giurista palermitano che fu il nostro presidente del Consiglio dopo Caporetto e ancora un anno dopo la vittoria di Vittorio Veneto nella Grande Guerra, e c’è anche Giuseppe Pizzarelli che fu prestigioso sindaco sociale di Catania e benemerito dell’istruzione popolare… e anche Pasquale Ragusa, che fu Gran Maestro aggiunto del GOI negli anni ’50 dello scorso secolo. Non solo… associa il lontano al vicino Enrico La Loggia, che fu avvocato e sociologo liberalsocialista ed antifascista proveniente da una famiglia tutta garibaldina, o ancora Francesco Landolina, che nel Novecento si distinse come il più approfondito studioso della massoneria siciliana in età napoleonica. Vien difficile finire l’elenco: mi sovviene adesso, poiché sono anch’io uomo di libri e di studi, il nome di Giuseppe Minolfi, dottissimo bibliotecario di Aidone ed esponente giovane di una antica famiglia antiborbonica anch’essa, e… il nome di Saverio Friscia, altro antiborbonico e carbonaro vicino all’anarchismo.
Mi han detto che di recente sono state promosse, in ambito Grande Oriente d’Italia, Logge intitolate a Pirandello, ad Ettore Majorana, a Salvatore Quasimodo naturalmente, quest’ultima nella sua Modica. Nomi anche questi che sono fari e che possono essere fari educativi, direi formativi, sia sul piano civile, sociale e anche politico dei nostri contemporanei.
Professore, vado al sodo: siamo bombardati da notizie di cronaca nera e giudiziaria che riguardano infiltrazioni malavitose e connivenze assai preoccupanti in certe Logge che hanno avuto nel loro seno personaggi molto inquietanti, taluno condannato nei tre gradi per mafia. Quel che Lei resuscita, con le sue evocazioni biografiche, sono pagine certamente belle, però Le domando: com’è stato possibile il passaggio dalle pagine vergini a quelle problematiche? Si parla anche di contagi territoriali, di una mafia che passa indisturbata dalla Sicilia alla Lombardia, dopo aver attraversato e seminato lungo l’intera penisola…
È un discorso complesso e molto delicato, che richiederebbe molta ponderazione riflessiva, molta documentazione e molta capacità analitica. Ma non mi voglio sottrarre alla provocazione. Leggevo di recente del giardino alchemico di Siracusa e della Venere Landolina, dunque del Fratello archeologo Francesco Saverio Landolina, e dei tesori siciliani che egli fece conoscere al mondo. E, sempre a proposito delle “contaminazioni” – ma quelle virtuose – fra territorio e territorio, mi sovviene adesso un’altra personalità che bisognerebbe riscoprire: il medico siciliano e garibaldino Giuseppe Cottone, che in Sicilia incontrò il sardo Giorgio Asproni, già prete e canonico, passato al giobertismo e approdato al mazzinianesimo e al federalismo cattaneano. Dunque, Cottone seguì Asproni a Nuoro, e ne fece la sua residenza, fondando la Loggia Eleonora, pochi anni dopo l’unità d’Italia. Ho molti amici in Sardegna, vede? Dalla Sicilia alla Sardegna, una virtuosa contaminazione. Di questi luminosi “contagi” ho parlato di recente in un viaggio che ho fatto in Barbagia. No, non la Costa Smeralda, ma le zone interne barbaricine, quelle descritte dalla Deledda, e Cagliari sempre bellissima!
Professore, quanti riferimenti ideali…
Certo! Oggi insultati e vilipesi! La perdita, dico io, delle “coordinate cartesiane” segna in negativo una o forse due generazioni, per cui nella stagione tecnologica che oggi viviamo pare non esserci posto per una rilettura critica ma comunque positiva, direi “accogliente” della storia passata, naturalmente della storia virtuosa anche sul piano civile e politico, come potrei dire – citando il presidente Ciampi – del primo e del secondo risorgimento, fino alla convergenza dei migliori verso l’elaborazione della Costituzione Repubblicana.
La stessa proiezione europea passa, nell’Italia del dopoguerra e di oggi, attraverso il manifesto di Ventotene del 1941 e parte già, cento anni prima, dalla Giovine Europa mazziniana. Ecco la continuità storica, negli aggiornamenti e negli aggiustamenti, ma senza abdicare al sogno della Fratellanza continentale e universale.
Mi permetto: ma questa non sarà soltanto letteratura?
No, non può essere soltanto letteratura! La massoneria vive di potenzialità che sanno farsi realtà. L’iniziazione a questa evoluzione richiama la coscienza del candidato ancora bendato nel Tempio, e tutti i Fratelli che assistono al rito dovrebbero ogni volta ripassare in coscienza – nel segreto della loro coscienza – la fedeltà alla parola data. Quella di spendersi sempre per una causa giusta, per la giustizia e non per una venale convenienza.
Io sono sicuro che nella Sicilia d’oggi, anche nelle zone più critiche, il sistema delle logge – mi riferisco adesso ancora a quelle di Palazzo Giustiniani – contenga un patrimonio morale e umanistico enorme. Ma so che questo patrimonio è, per certi aspetti, come compresso, impedito di svilupparsi a causa di certi contenuti magistrali, o di cattivo magistero, e di un certo stile del governo del G.O.I. di questi anni, non pochi anni. L’intero complesso delle funzioni ispettive, che non sono funzioni poliziesche ma funzioni di verifica per la salvaguardia della armonia in capo alle Logge, agli Orienti, alle Circoscrizioni, si sono indebolite in misura veramente assassina.
E il peggio alligna, soffoca le migliori volontà, spegne ogni entusiasmo, affossa… Mi spiace. Lo stesso dire e fare algido del Gran Maestro d’oggi fotografa una certa decadenza… Quale abissale distanza da Nathan! E quale drammatica ricaduta ha tutto questo, disvelato giorno dopo giorno, nel sistema territoriale delle Logge, e fra esse quelle siciliane, ma direi anche quelle calabresi, e quelle sarde dal cui seno sono risalite offese incredibili di qualche cretino alla memoria di Giovanni Bovio e alla dignità dei presidenti Mattarella e Napolitano, senza che nessuno obiettasse, neppure il Grande Oratore Pietrangeli, neppure il Gran Maestro Bisi…
Fatico a comprendere e mi è impossibile accettare. Posso però sperare, come già qualche volta ho accennato, in un deciso cambio di passo, salvifico per il Grande Oriente d’Italia e per tutta la massoneria nazionale.
*In copertina: il patriota italiano Michele Morelli e il Labaro del Grande Oriente d’Italia
1 commento
Caro Prof. Di Bernardo, che un gruppo dirigente possa non essere ai massimi livelli espressi altre volte non significa che abbia la responsabilità di quanto di negativo succede nell’associazione. Per me la Massoneria ha subito diversi oltraggi che l’hanno prostrata e dai quali è possibile che si riprenda solo se ce ne rendiamo conto, se ne abbiamo tutti consapevolezza. Il primo oltraggio è stato la messa al bando da parte del fascismo e il ventennio di esilio e/o clandestinità. Il secondo oltraggio, forse più grave ancora, è stato l’uso che la Nato ne ha fatto in funzione anticomunista che ha comportato l’accoglimento di numerosi fascisti nelle Logge e il conseguente spostamento ideale della comunità verso l’autoritarismo. Accanto a questi scempi subiti che hanno fatto tabula rasa dei valori tradizionali cui lei ha fatto riferimento nell’intervista, c’è un sistema elettorale che evidentemente andrebbe riformato perché conferisce potere ai raccoglitori di voti sui territori che, come per la politica profana, possono diventare strumenti di cui si può servire la malavita organizzata. In sintesi voglio dire che dare la colpa alle persone quando un sistema è saltato in aria per effetto di un bombardamento a tappeto, è facile ma non porta ad alcuna soluzione.