di Michele Campostella
Con questo articolo ci proponiamo di investigare due aspetti lasciati irrisolti nel nostro precedente intervento: 1) “È possibile rintracciare un concreto “sistema morale” alla base della cosiddetta Giustizia massonica? 2) Le determinazioni che da essa promanano presentano caratteristiche di univocità e certezza?
I quesiti proposti sono di fondamentale importanza, poiché una qualsiasi “giustizia”, per definirsi tale, deve anche essere ed apparire “giusta”, cioè fondata su un’etica condivisa dalla maggioranza degli individui ai quali è rivolta, nonché determinabile nella sua applicazione (nel senso che ad ogni fattispecie di condotta per essa rilevante dovrebbe necessariamente corrispondere un effetto non solo definito, ma anche prevedibile).
Pertanto, procederemo con il mettere a confronto due importanti “casi di giustizia” tratti dalla cronaca recente del Grande Oriente d’Italia, uno il “Caso Salsone”, riguardante la condanna del Presidente del Collegio Circoscrizionale della Lombardia avv. Antonino Salsone, l’altro l’“Affaire Tumbarello”, concernente il dr. Alfonso Tumbarello, medico del superboss latitante Matteo Messina Denaro, capo di “Cosa nostra”.
Il “Caso Salsone”
In data 15 marzo 2022, il Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia indirizzava al Presidente della Corte Centrale del G.O.I. la Tavola d’Accusa, ex art. 67 Cost. e art. 169 del Regolamento dell’Ordine (Prot. 026/GO/MP), nei confronti del Fr.’. Antonino Salsone, Presidente del Collegio Circoscrizionale dei MM.’.VV.’. della Lombardia, appartenente alla R.’.L.’. Dante Alighieri n. 1120 all’Or.’. di Milano.
Secondo il Grande Oratore la “colpa massonica” di cui si sarebbe macchiato l’avv. Salsone integrerebbe il tradimento degli ideali dell’Istituzione (art. 15 Cost. lett. b). In sostanza il comportamento dell’accusato avrebbe manifestato “un’azione contraria alla lealtà, all’onore e alla dignità della persona umana”; ma anche inquadrato un comportamento, nell’ambito della vita profana, capace di tradire i princìpi posti alla base della Libera muratoria.
Questo perché, in data 30 gennaio 2022, alle ore 12:34, egli “postava”, sul suo profilo Facebook (con 11910 follower), il seguente messaggio: «Niente da ridire sull’elezione del Presidente Sergio Mattarella, che aveva espresso la volontà di non essere più rieletto e che va ringraziato per l’alto senso dello Stato ancora una volta dimostrato. Molto da ridire su di una democrazia incapace di essere se stessa, eleggendo un successore di Mattarella alla Presidenza della Repubblica. In qualunque Istituzione che preveda il sistema elettivo è intollerabile e impensabile trasformare la più alta carica in una sorta di larvata monarchia. La monarchia è un’altra cosa. Sul Parlamento e sui partiti è meglio astenersi da ogni giudizio. I loro comportamenti parlano da soli». Tale pubblicazione era corredata di uno sfondo “tempestoso” nel quale appariva una scacchiera con file laterali di pedine prone al re degli scacchi, posto al centro.
«Non pare possa essere revocata in dubbio», così motiva il Grande Oratore, «la chiara manifestazione di “intolleranza” per l’evento consistito nella rielezione del Presidente della Repubblica, evento tacciato di celare una “larvata monarchia”», con «toni irrispettosi delle istituzioni dello Stato».
Ancora: «Tali critiche all’organo parlamentare, ai partiti ed alla democrazia italiana, compiuti da membri del G.O.I., con funzioni di alta rappresentanza e responsabilità, quale il Presidente del Collegio Circoscrizionale dei MM.’.VV.’. della Lombardia, appaiono evidentemente in contrasto … con i princìpi contenuti nella costituzione e nel Regolamento dell’Ordine», e denotano la «ferma determinazione di voler esternalizzare una severa critica nei confronti delle istituzioni democratiche … dei valori democratici e delle Istituzioni che li rappresentano conformemente alla Costituzione della Repubblica Italiana».
Non solo: «La scelta di preparare [tale] pubblicazione costituisce la prova della ferma volontà e determinazione di esprimere una critica severa sia della Presidenza della Repubblica, sia del Parlamento e dei parlamentari, fatto che appare ingiusto e che si riflette inevitabilmente sull’immagine del G.O.I. e di tutti gli appartenenti alla Massoneria … determinando disorientamento e generando un’immagine del G.O.I. come di un’organizzazione volta a screditare la rappresentanza democratica».
Senza voler entrare nel merito delle “accuse”, è però d’obbligo segnalare che l’avv. Salsone – nella sua difesa – dichiarava che l’espressione individuale privata, quando posta nei limiti della continenza e del merito (come nel caso suo proprio: tra l’altro di affermato giureconsulto), «non può e non deve essere soggetta a coercizione da parte di alcuno, costituendo la base di un diritto costituzionale e l’estrinsecazione di un diritto naturale proprio ad ogni Cittadino della Repubblica Italiana».
D’altro canto considerazioni analoghe a quelle espresse dall’avv. Salsone, in quegli stessi giorni, erano avanzate da insigni costituzionalisti e professori universitari di diritto, oltreché dagli organi di stampa di ogni colore politico, per i quali la problematica segnalata, cioè quella del rispetto non solo formale ma anche sostanziale del dettato costituzionale, lungi dal porsi in contrasto con l’apparato giuridico democratico, metteva anzi in luce il dovere della salvaguardia di aspetti tecnico-giuridici della Carta costituzionale, altrimenti vessati. Nello specifico si è fatto notare come il Capo dello Stato, considerato organo di garanzia, ha una durata in carica di sette anni, due in più delle Camere che lo eleggono, così da consentirgli una sicura emancipazione dai partiti che lo hanno votato, comunque garantita dal prestigio del suo ruolo e dalle sue funzioni. Mentre i Giudici della Corte costituzionale, organo posto a chiusura e garanzia dell’assetto repubblicano, hanno una durata in carica di nove anni, vale a dire due in più del Presidente della Repubblica. Il mandato presidenziale, come detto settennale, a fronte di quello novennale dei Giudici costituzionali, rende sostanzialmente improbabile che tutti i Giudici di nomina presidenziale siano espressi dallo stesso Presidente della Repubblica, così da garantire una pluralità ed eterogeneità di orientamenti in seno alla Consulta.
I precedenti storici
Le preoccupazioni derivanti dall’investitura, per quattrodici anni, della stessa persona nella carica monocratica di vertice dell’ordinamento ha destato anche in passato rilevanti questioni di opportunità. Invero, la questione era già stata disaminata in sede di redazione della Carta costituzionale. Appare utile richiamare, a questo riguardo, quanto emerge dal Dossier del Servizio Studi del Senato “Brevi note sul semestre bianco”, nel quale vengono riassunte ed esaminate anche le questioni relative alla possibilità della rielezione del Presidente e al quale sono allegati interessantissimi documenti.
Dal citato Dossier emerge che in Assemblea costituente venne dapprima approvato (in via emendativa dalla Prima sezione della Seconda Sottocommissione, nella seduta del 19 dicembre 1946) il divieto della rieleggibilità. Nella discussione furono prospettate 3 distinte opzioni: 1) tacere sulla rieleggibilità; 2) prevedere un divieto di rieleggibilità; 3) prevedere un divieto di rieleggibilità immediata. Per la prima propendeva il relatore Tosato, anche tenuto conto, dopo il ventennio fascista, della «situazione attuale di penuria di uomini politici». Lami Starnuti (allora PSI) propose invece un emendamento prescrivente la non rieleggibilità. Esso fu approvato (respinto invece altro emendamento di Fuschini, DC, per la non rieleggibilità solo immediata). Insieme venne poi approvata la durata settennale del mandato presidenziale (analogamente a quanto previsto dalla Costituzione della IV Repubblica francese). Tosato (nella seduta del 20 dicembre 1946) aveva ritenuto «non … conforme al sistema del Governo parlamentare stabilire un’eguale durata per tutti gli organi supremi costituzionali, specialmente per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, che deve rappresentare un elemento di continuità e di stabilità nella vita dello Stato».
L’espunzione fu effettuata dalla Commissione dei Settantacinque nella sua adunanza plenaria (seduta del 21 gennaio 1947). Palmiro Togliatti ritenne «troppo restrittiva» la previsione di un divieto di rieleggibilità tout-court. Da parte sua, Aldo Moro suggerì che la Carta non recasse previsione sulla rieleggibilità o meno. Ed in Assemblea plenaria un emendamento ancora di Lami Starnuti, volto a prescrivere la non rieleggibilità, fu ritirato.
Evidentemente venne poi raggiunto un accordo politico (del quale gli atti dell’Assemblea costituente non danno però alcuna indicazione), tra orientamenti di fondo che erano discordi: quello favorevole ad un rafforzamento della figura presidenziale e quello sfavorevole ad una paventata degenerazione personalistica di quel potere.
Dietro quella espunzione del divieto di rieleggibilità vi sarebbe – è stato pacificamente rilevato in dottrina (M. Volpi, Considerazioni sulla rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in “Quaderni costituzionali”, 1985) – «il ripensamento delle sinistre, e in particolare dei comunisti, sulla questione», spiegabile col «fatto che, una volta delimitato il ruolo del Presidente e stabilita la sua derivazione parlamentare, emergeva tra i comunisti la preoccupazione politica di permettere la rielezione di un Presidente che avesse operato come garante del patto costituzionale che si andava concordando». Una contingenza, quindi, eminentemente storica.
Non solo: il problema se lo pose addirittura il Presidente Antonio Segni, quando il 16 settembre 1963 inviò – ex art. 87 Comma 2 della Costituzione – il seguente messaggio alle Camere: «dopo 15 anni di applicazione della Costituzione, si impone la considerazione se l’esperienza non abbia rilevato in essa qualche manchevolezza che, per gli inconvenienti che ne derivano, è opportuno con sollecitudine apprestarsi ad eliminare»; il Presidente Segni invitava le Camere ad apportare modifiche su due questioni: a) le modalità di rinnovo dei giudici costituzionali; b) l’introduzione del divieto di rielezione del Presidente della repubblica.
In relazione a tale secondo aspetto, che qui interessa, dopo avere fatto un excursus storico sulla rieleggibilità del Presidente negli Stati Uniti sino alla introduzione del 22° emendamento del 27 febbraio 1951, che vietava la terza rielezione, il Presidente Segni evidenzia che: «È contemperata, in tal modo, la stabilità dell’esecutivo, perché i due mandati [ndr: quelli americani] durano complessivamente otto anni, con la necessità che vi sia un rinnovamento, a non grandi intervalli, nella persona che riveste la funzione di Capo dello Stato repubblicano, per evitare il danno delle continuità personali proprie dei regimi ereditari e innaturali in un regime repubblicano». Non possiamo non notare che sono esattamente le considerazioni portate, nel merito della questione, dall’avv. Antonino Salsone.
Il presidente Segni osservava, inoltre, che: «la nostra Costituzione non ha creduto di stabilire il principio della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica, ma mi sembra opportuno che tale principio sia introdotto nella Costituzione, essendo il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato. La proposta modificazione vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione».
E concludendo: «Una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell’art. 88 comma 2 della Costituzione, il quale toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato. Questa disposizione altera il difficile e delicato equilibrio tra i poteri dello Stato, e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle Camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti».
Nonostante il messaggio fosse di cristallina chiarezza, e nonostante a seguito dello stesso il Presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Leone avesse presentato, in data 16 ottobre 1963, un disegno di legge costituzionale per la modifica dell’art. 85 della Costituzione, non se ne fece nulla.
La condanna
In data 22 luglio 2022, con Sentenza della Corte Centrale “I Sezione”, il “fratello” Antonino Salsone viene ritenuto colpevole di “grave colpa massonica”, e condannato, ai sensi dell’art. 27 lett. c) del Regolamento dell’Ordine, alla “Censura Solenne”, «con esclusione dalla partecipazione ai Lavori massonici per il periodo di anni uno e l’interdizione da qualsiasi carica per il periodo di anni tre».
In questo modo si conclude – con molti dubbi di merito – la sua vicenda giudiziaria.
L’“Affaire Tumbarello”
Il medico di base Alfonso Tumbarello, membro della R.’.L.’. Valle di Cusa – Giovanni di Gangi n° 1035 del Grande Oriente d’Italia all’Oriente di Campobello di Mazara, viene arrestato il 7 febbraio scorso dai Carabinieri dei ROS; era sotto indagine da quasi un mese, dal momento della cattura del capomafia Matteo Messina Denaro, che avrebbe favorito nella sua latitanza.
Le accuse a carico del dr. Tumbarello (che costituiscono le ipotesi di reato) sono circostanziate. Il medico, infatti, «dal luglio 2020 fino al gennaio 2023» (così per gli inquirenti), «ha firmato per Matteo Messina Denaro, sapendo esattamente chi fosse, almeno 95 ricette per la somministrazione di farmaci e almeno 42 per lo svolgimento di analisi ed esami diagnostici», tutte prescrizioni formalmente indirizzate ad Andrea Bonafede (altro “golem” del padrino, che – contrariamente a quest’ultimo – in realtà gode di ottima salute). Una “sostituzione di persona” impensabile in un paese che registra meno di 12.000 abitanti (ISTAT 2017) ed in cui – stando alle stesse testimonianze dei campobellesi – “ci si conosce tutti”.
Quindi: «favoreggiamento, falso ideologico, procurata inosservanza della pena, e associazione mafiosa»… capi di imputazione non solo validati in sede di Tribunale del Riesame (24 febbraio scorso), ma addirittura in quell’occasione rincarati.
Secondo i pm: «Bonafede si sarebbe occupato di ritirare le prescrizioni di farmaci ed esami clinici fatte da Tumbarello a nome del cugino e di consegnare al medico la documentazione sanitaria che di volta in volta il boss riceveva durante le cure», contribuendo così a mantenere segreta la reale identità del capomafia, tanto da consentirgli di proseguire indisturbato la sua latitanza. Tumbarello, invece, «avrebbe assicurato a Messina Denaro l’accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni», garantendo al padrino non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva, ma anche la riservatezza sulla sua reale identità.
Per i giudici: «l’indagato era al centro di una rete di relazioni territoriali e sanitarie che avrebbero permesso al boss di continuare la sua latitanza per anni», e ancora: «In definitiva, Tumbarello si trova al centro di quel crogiuolo di relazioni territoriali e sanitarie che hanno garantito le mistificazioni necessarie per assicurare nel tempo la latitanza del boss, e che al contempo valgono a radicare il pericolo della ripetibilità di condotte simili in favore dell’associazione mafiosa».
Di fronte a queste gravissime accuse il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia ha risposto, appena venuto a conoscenza delle indagini a carico del “fratello”, con il Decreto n° 398/SB. In esso si afferma:
«Presa visione delle notizie apparse sulla stampa, secondo le quali il Fr.’. Alfonso Tumbarello, appartenente alla R.’.L.’. “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” (1035) all’Oriente di Campobello di Mazara, sarebbe sottoposto ad indagini per reati di rilevante gravità;
VISTO
L’art. 15 e l’art. 32 lett. m) della Costituzione dell’Ordine;
DECRETA
Articolo 1 – Il Fr.’. Alfonso Tumbarello, appartenente alla R.’.L.’. “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” (1035) all’Oriente di Campobello di Mazara, è sospeso, a tempo indeterminato, da ogni attività massonica;
Articolo 2 – Si dispone che il presente decreto venga trasmesso all’ufficio del Grande Oratore e che ne sia data notizia all’interessato, alla Loggia di appartenenza, alla Giunta dell’Ordine, ai Presidenti dei Collegi Circoscrizionali ed alla Gran Segreteria del G.O.I.
Dato da Villa “Il Vascello” all’Or.’. di Roma il XVII giorno dell’XI Mese dell’Anno di V.’.L.’. 0006022, e della E.’.V.’. il giorno 17 del Mese di Gennaio dell’Anno 2023.»
Il tutto precedendo di qualche settimana quanto gli avrebbe imposto di fare l’art. 187 Comma a) del Regolamento del Grande Oriente d’Italia, che – in presenza della gravissima circostanza dell’arresto di un “fratello” – recita:
«In caso di provvedimenti restrittivi della libertà personale emessi dall’autorità giudiziaria profana, il Fratello indagato od imputato può essere sospeso dal Gran Maestro fin quando non fornisca la prova dell’archiviazione, del proscioglimento od assoluzione per i capi d’accusa che hanno determinato il provvedimento restrittivo».
La sospensione come “atto conservativo”
Una certa vulgata, alimentata ad uso e consumo dei “non addetti ai lavori”, ha propagandato l’atto di sospensione disposto dal Gran Maestro come un atto in qualche modo “punitivo” nei confronti del “fratello” colpito, assimilabile ad una vera e propria presa di posizione sulla condotta posta in essere dallo stesso e motivante il provvedimento. Ai meno accorti è pure sembrato che il provvedimento potesse configurare, in qualche modo, un ostacolo alla prosecuzione dell’appartenenza del dr. Tumbarello al Grande Oriente d’Italia, di fatto confondendo la “sospensione” con il differente provvedimento dell’“espulsione”. Espulsione che può essere decretata solo a seguito di regolare processo massonico, instaurato con Tavola d’Accusa.
Così nella Costituzione dell’Ordine:
Art. 7 – Le prerogative del Libero Muratore
Il Libero Muratore, con la iniziazione, viene riconosciuto Fratello.
I Liberi Muratori sono reciprocamente tenuti all’insegnamento, alla fedeltà, alla lealtà, alla stima e alla fiducia.
Le prerogative si perdono solo con l’espulsione dall’Ordine.
Da questo importante articolo si deduce che la reciprocità nei rapporti di fedeltà, stima e fiducia – prerogative che devono tutte regnare tra i “fratelli” – continuano a conservarsi anche nei confronti dell’associato sospeso. Nella speranza che questi: «fornisca la prova dell’archiviazione, del proscioglimento od assoluzione per i capi d’accusa che hanno determinato il provvedimento restrittivo» – art. 187 Comma a) del Regolamento del Grande Oriente d’Italia.
È immaginabile che proprio per questo, cioè per il caso di condotte assai gravi (in grado di individuare una vera e propria “colpa massonica” conclamata: immaginiamo un arresto per omicidio o per concorso in associazione malavitosa…), sia stato redatto il successivo Comma b) dell’art. 187 Reg., il quale precisa:
«Nell’ipotesi che i fatti addebitati costituiscano anche colpa massonica, il Grande Oratore formula una Tavola d’accusa».
Ecco il passaggio essenziale all’interno dell’ordinamento giuridico massonico! Poiché il tempo verbale declinato al presente, “formula” (anziché “può formulare”) non deve lasciar dubbi circa la condotta che il Grande Oratore è obbligato a tenere in presenza di un comportamento tale da aver tradito «gli ideali dell’Istituzione» ex art. 15 Cost. Comma b), quale ci sembra quello posto in essere dal medico campobellese.
In questo modo la situazione fattuale di un “fratello” «ristretto della libertà personale» dall’autorità profana, “congelata” attraverso il provvedimento di “sospensione”, può entrare nel vivo della concreta valutazione massonica circa la colpa commessa. Ovviamente secondo i canoni fissati nella Costituzione dell’Ordine:
Art. 15 – Le colpe e le sanzioni
I Liberi Muratori, qualunque sia il loro grado e la loro funzione, sono sottoposti alla Giustizia Massonica e vi restano soggetti anche se in sonno o decaduti.
Costituisce colpa massonica l’inosservanza dei Princìpi della Massoneria e delle norme della Costituzione e del Regolamento dell’Ordine.
Integrano gli estremi della colpa massonica:
a) ogni contegno nei rapporti massonici contrario ai sentimenti di rispetto, di fraternità e di tolleranza;
b) ogni azione contraria alla lealtà, all’onore od alla dignità della persona umana ed ogni comportamento, nell’ambito della vita profana, che tradisca gli ideali dell’Istituzione.
Il Regolamento dell’Ordine determina le sanzioni graduandole secondo la gravità della colpa.
Il Libero Muratore è considerato innocente fino a che non sia intervenuta sentenza definitiva.
Il Libero Muratore, sottoposto a procedimento penale dell’autorità giudiziaria ordinaria per fatti non colposi, può essere cautelativamente sospeso da ogni attività massonica con provvedimento del Gran Maestro.
La pendenza di un procedimento penale non preclude il giudizio massonico.
L’art. 15 spiega, dunque, quali sono le condotte che integrano la “colpa massonica” e ci informa, soprattutto, all’ultimo Comma, che il “giudizio massonico”, cioè quello necessariamente introdotto tramite Tavola d’Accusa, non può essere precluso dall’azione penale. Questo perché la “colpa massonica” integra una sua propria particolare fattispecie all’interno dell’ordinamento giuridico massonico.
Ed è per tale ragione che l’art. 15 Cost. Comma b) va letto insieme all’art. 187 Reg. Comma b)!
Ed è ancora per questo che l’avv. Antonino Salsone, proprio in virtù dell’art. 15 Cost. Comma b), viene condannato. Riprendiamo dalla Tavola d’Accusa (Prot. 026/GO/MP) del Grande Oratore contro di lui, quando afferma: «tradimento degli ideali dell’Istituzione (art. 15 Cost. lett. b)». Questa la contestazione. Cioè l’aver posto in essere un’«azione contraria alla lealtà, all’onore od alla dignità della persona umana» o un «comportamento, nell’ambito della vita profana, che tradisce gli ideali dell’Istituzione». Quindi, “azione contraria alla dignità della persona umana”… “nell’ambito della vita profana”… “che tradisce gli ideali dell’Istituzione”… Così è appunto inquadrata la “colpa massonica” al di fuori dei rapporti tra massoni [campo d’applicazione, invece, dell’art 15 Cost. Comma a)].
Si potrebbe aver l’impressione, arrivati a questo punto, che esista un conflitto, nell’ordinamento giuridico massonico, tra l’esigenza di “congelare” la situazione del “fratello” posto agli arresti dall’autorità profana – in attesa dell’esito del giudizio – e nel frattempo sospeso a norma dell’art. 187 Comma a), e la necessità di stigmatizzare la condotta da egli posta in essere quando questa integri una condotta antimassonica ex art. 15 Cost. Comma b). In realtà questa contraddizione è solo apparente.
Essa è infatti eliminata dall’art. 187 Reg. Comma c), che dispone: «Il processo massonico [introdotto dal Grande Oratore con Tavola d’Accusa a norma del Comma precedente] viene immediatamente sospeso dopo la notificazione della Tavola d’Accusa sino alla definizione del processo da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria».
La quadratura del cerchio
Il quadro normativo è ora chiarissimo. Il disvalore massonico della condotta profana posta alla base del provvedimento di restrizione della libertà personale del “fratello”, stabilito dal giudice statale, è introdotto nell’ordinamento giuridico interno tramite norma regolamentare [art. 187 Comma b)], a patto che – questo punto è lasciato alla valutazione “politica” del Grande Oratore e della Giunta esecutiva – la condotta incriminata dagli inquirenti profani inquadri anche un disvalore massonico ex art. 15 Cost. Comma b).
Considerazioni finali
Da quanto si è descritto è possibile trarre la risposta ai due quesiti iniziali: in astratto l’ordinamento massonico porrebbe anche le basi affinché in esso possa rintracciarsi un coerente ed organico “sistema” morale, improntato a criteri etici di indiscussa rilevanza, ma in concreto esso non pare fornire un’altrettanto univoca “struttura” atta a garantire l’univoca e certa interpretazione di fattispecie identiche o assimilabili, lasciando così alla “convenienza” dei Giudici massoni e dell’esecutivo, nella figura del Grande Oratore come soggetto “Promotore di giustizia”, l’interpretazione delle condotte astrattamente inquadrabili come “colpa massonica”.
Al riguardo, intenderemo rivolgere al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dr. Stefano Bisi due domande che reputiamo esaustive:
1) Per quali ragioni la condotta posta in essere dal “fratello” dr. Alfonso Tumbarello non dovrebbe dichiararsi antimassonica, soprattutto se rapportata all’accertata condotta antimassonica dell’avv. Antonino Salsone?
2) Se la condotta profana – rilevante ex art. 15 Cost. Comma b) – posta in essere dal dr. Alfonso Tumbarello (favoreggiamento, falso ideologico, procurata inosservanza della pena e associazione mafiosa atta a favorire la latitanza del superboss Matteo Messina Denaro) è effettivamente qualificabile come antimassonica, perché il Grande Oratore – ad oggi – non ha ancora elevato la Tavola d’Accusa normata ex art. 187 Comma b) del Regolamento dell’Ordine?
Lasciamo, ancora una volta, le dovute conclusioni alla libera sensibilità dei lettori.
8 commenti
Per un inesperto di questioni legali come me le risposte alle due domande conclusive potrebbero essere:
1) Per potersi ritenere antimassonica la condotta del dott. Tumbarello bisogna che siano prima accertati fatti e responsabilità; mi sembra logico che, in questo caso, l’accertamento non può che essere il prodotto della sentenza definitiva mentre per l’avv. Salsone il fatto addebitato è accertato (si può dissentire col tribunale riguardo all’antimassonicità ma il fatto è accertato)
2) La tavola d’accusa contro il dott. Tumbarello avrebbe senso solo se il conseguente processo massonico avesse la possibilità di accertare i fatti, ma i fatti possono essere accertati solo dal processo profano che, pertanto, si deve attendere per ogni azione ulteriore dopo la sospensione (azione cautelativa e di garanzia per l’Istituzione e per l’indagato)
Caro Danilo Di Mambro, è invece proprio lo spirito dell’art. 187 del Regolamento dell’Ordine ad imporre la Tavola d’Accusa per condotta antimassonica, ben prima che vi sia la sentenza profana.
Perché la sentenza profana nulla potrebbe dire circa il disvalore massonico, come ha acutamente notato il dr. Francesco Angioni nel suo commento al mio precedente articolo.
È un equivoco in cui ancora cadono i “fratelli”, non solo tu. Sospensione significa “congelare”, ma per espellere ci vuole un processo massonico, e per esserci un processo massonico ci vuole una Tavola d’Accusa. Il Processo massonico non è precluso dall’azione penale profana. E l’ordinamento massonico, in presenza di fatti gravi (come quello del dr. Tumbarello) permette al Grande Oratore di prendere da subito una chiara posizione. Congelata anch’essa, ex art. 187 Comma c), ma intanto assunta! E soprattutto capace di portare alla successiva espulsione dell’incolpato, in seguito alla conclusione del processo profano.
La questione è, quindi, molto semplice: il Grande Oratore ritiene che il “concorso in associazione mafiosa” possa qualificare una condotta antimassonica? Punto.
Tutto si esaurisce in questo.
Finora non lo ha ritenuto, ed io da osservatore esterno registro semplicemente questo fatto.
Scusa, ma come si può parlare di disvalore massonico riguardo a fatti non accertati? A me risulta che si è innocenti fino a che una sentenza definitiva non stabilisce il contrario. Praticamente vorresti invece stabilire i fatti senza nemmeno la sentenza di primo grado.
Gentile Danilo,
Le rispondo ancora una volta. Cercando di chiarire, ancor meglio, la posizione non mia, ma dell’ordinamento massonico in merito ai fatti oggetto dell’articolo.
Veda, il tutto parte dalla necessità, per l’ordinamento massonico, di accompagnare il disvalore di una condotta profana all’interno l’ordinamento massonico. Determinandone le conseguenze.
Le faccio un esempio un po’ “crudo”, nella speranza che esso possa finalmente chiarirLe la faccenda:
Un “fratello” viene arrestato per aver violentato una minore (successivamente uccisa), con molte prove a suo carico, comprese tracce del proprio DNA sulla povera vittima.
Per l’ordinamento statale egli sarà innocente fino alla fine del processo.
A seguito dell’arresto il Gran Maestro lo sospende immediatamente dall’Ordine.
Stante tale provvedimento, tuttavia, egli continuerà a far parte dell’Istituzione per sempre. Ripeto: per sempre. Lo ripeto ancora: per sempre!
Così, infatti, nella Costituzione dell’Ordine:
Art. 7 – Le prerogative del Libero Muratore
Il Libero Muratore, con la iniziazione, viene riconosciuto Fratello.
I Liberi Muratori sono reciprocamente tenuti all’insegnamento, alla fedeltà, alla lealtà, alla stima e alla fiducia.
Le prerogative si perdono solo con l’espulsione dall’Ordine.
Rilegga con attenzione l’ultimo comma: “Le prerogative si perdono solo con l’espulsione dall’Ordine”.
Tutto ciò a meno che il Grande Oratore non porti, tramite Tavola d’Accusa, la questione di fronte alla Corte Centrale. E questa, successivamente, non provveda con sentenza di espulsione. Così è per l’ordinamento massonico, non avendo il Gran Maestro poteri ulteriori.
L’ART. 187 DEL REGOLAMENTO DELL’ORDINE è appunto il mezzo attraverso il quale l’ordinamento massonico fa entrare gravi condotte profane, quelle per le quali è previsto l’arresto dell’imputato, nella giurisdizione interna. Poiché si ipotizza che il loro disvalore sia “anche” massonico. Ed in tal modo rende possibile l’espulsione del Fratello dall’Ordine a seguito della instaurazione di un processo.
Con la garanzia, del resto, che sia comunque attesa la fine del giudizio profano (art. 187 Comma c). Giudizio profano che, a norma della Costituzione del GOI, giustappunto, non preclude il processo massonico.
Senza la presa d’atto del disvalore massonico, nel concreto dell’ordinamento giuridico massonico, della condotta profana dell’arrestato, non vi potrà mai essere “sentenza di espulsione”!
Questa presa d’atto è appunto la volontà politica del Grande Oratore di elevare Tavola d’Accusa per condotta antimassonica nei confronti dell’arrestato.
Tutto ciò badi bene, non lo affermo io, lo afferma il Regolamento del Grande Oriente d’Italia all’art. 187, Commi a, b e c. In connessione con l’art. 15 della Costituzione Comma b.
Mi spiego ora con un esempio più faceto:
ammettiamo, caro Danilo, che Lei compri un bel pesce in Pescheria, dopo che il pescivendolo gliene ha magnificato le carni ed il sapore. Tornato a casa lo mette in frigo in attesa di cucinarlo… Arrivo io e le chiedo: è buono il pesce? Lei cosa mi risponderà? Presumibilmente che ancora non lo sa, che è in frigo (sospeso), e lo saprà solo quando, dopo averlo messo in pentola (la Tavola d’Accusa), lo avrà gustato (la sentenza della Corte Centrale). Fino ad allora quel pesce, in frigo, sarà un pesce come tutti gli altri, né buono né cattivo.
Certo non più nel mare (sospeso), ma non per questo meno pesce (“fratello”) degli altri.
Spero, finalmente, di aver fatto chiarezza.
(Badi bene, caro Danilo, che i suoi dubbi sono esattamente quelli sui quali si “gioca” per non assumere condotte invece imposte dall’ordinamento giuridico massonico. E per continuare a rispondere alla domanda: “Che sapore ha?” con l’affermazione: “un bellissimo colore!”)
Aggiungo: si sono recentemente sospesi “fratelli” per aver lasciato una sedia vuota, “tavolandoli” per condotta antimassonica… Qua stiamo parlando di “concorso in associazione mafiosa”. Si faccia la domanda e si dia la risposta.
Caro Campostella, grazie per i suoi articoli! Le sottopongo questa sentenza: «Deve ritenersi adeguatamente provato che l’imputato in esame facesse parte della cellula mafiosa di Licata»…. Questo è quanto scrivono i giudici della Terza sezione penale della Corte di Appello di Palermo, presieduta da Antonio Napoli, nelle motivazioni con cui hanno condannato, nel luglio scorso, ad otto anni di reclusione Vito Lauria, 52 anni tecnico informatico e massone di Licata, figlio del boss Giovanni (alias “u prufissuri”). Egli, al momento dell’arresto, era Maestro Venerabile della loggia del GOI “Armaldo da Brescia” di Licata….
Chiedo se il sig. Vito Lauria sia mai stato oggetto di Tavola d’Accusa da parte Grande Oratore e conseguentemente di sentenza di espulsione da parte della Corte Centrale del GOI, oppure sia ancora un fratello, a tutti gli effetti, del Grande Oriente. Domandina semplice e facile…. A seconda della risposta, al sig. Di Mambro si spalancherà il terzo occhio!
Caro Campostella, pensavo di confrontarmi sui casi specifici dei fratelli Tumbarello e Salsone invece scopro che la questione va ben oltre. Scusi ma la discussione in questi termini non mi interessa. Buona serata.
Mi dispiace se Le ho creato imbarazzo.
Purtroppo la questione posta dai miei articoli va molto al di là del “Caso Salsone” e dell’“Affaire Tumbarello”.
Ha infatti a che fare con un male terribile, ben peggiore di qualsiasi altro male Lei possa immaginare: L’IPOCRISIA.
Buon giorno,
dopo aver letto questo articolo, mi sorge una domanda: come può il GOI, ma anche altre Obbedienze, chiedere a chi vuole iscriversi e fare un percorso massonico, di essere onesto e pronto a pagare salatamente, quando ci sono questi individui? Come può chiedere soldi quando il GOI beneficia del 5 per mille?
Grazie per l’attenzione.