di Michele Campostella
Siamo alla fine di un caldo mese di giugno nel lontano 2006, la temperatura in Sicilia ha già toccato i 40° quando una vasta operazione antimafia dei Carabinieri del comando provinciale di Agrigento, disposta dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, porta all’emissione di numerosi provvedimenti restrittivi nei confronti di esponenti di Cosa Nostra e di persone contigue ad essa a vario titolo. Colpite sono le cosche mafiose che dominano Campobello di Licata, Ravanusa, Licata, Favara e Canicattì; l’operazione è denominata “Ghost II / Saraceno”, il giudice per le indagini preliminari è Antonella Consiglio, che ha accolto le richieste del procuratore aggiunto Anna Maria Palma e dei sostituti Fernando Asaro, Costantino De Robbio e Corrado Fasanelli.
In generale le accuse fanno riferimento ai reati di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamenti finalizzati all’acquisizione del controllo diretto e indiretto di attività economiche. Tra gli arrestati spicca un ex bancario, Giovanni Lauria, licatese di 66 anni, che sarà un importante personaggio nella storia che ci apprestiamo a raccontare.
TREDICI ANNI DOPO…
‘U prufissuri Giovanni Lauria non è un uno qualunque, ma un boss carismatico di vecchio stampo, con un passato criminale di tutto rispetto. Un uomo d’onore all’antica, che sa mantenere i rapporti non solo con i capi e i gregari locali, ma anche con le famiglie catanesi, ennesi e con quelle davvero importanti del trapanese, oltre che con gli “alti livelli” palermitani. Per questo è stato protagonista di dinamiche associative di assoluto rilievo, che hanno visto coinvolti i massimi vertici di Cosa Nostra siciliana.
Le intercettazioni ambientali eseguite dal ROS (nonostante l’attivazione, a contrasto, di jammer / disturbatori di frequenze) non lasciano spazio a dubbi: «Lui è messo dopo Riina e Provenzano, poi c’è messo lui a livello di … è il postino di Provenzano, sia il postino del cognato di Provenzano… e poi coordinatore di tutte le province», «è in alto assai!». A parlare è Giovanni Mugnos, bracciante agricolo di 54 anni ritenuto l’alter ego di Giovanni Lauria. Così, quando i mafiosi trapanesi e quelli palermitani sono pronti a farsi la guerra, facendo scorrere altri fiumi di sangue, tocca proprio a Lauria senior far da paciere, su mandato di Bernardo Provenzano (il “Capo dei capi” fino all’arresto avvenuto l’11 aprile 2006 in una masseria di Corleone, dopo 43 anni di latitanza). Insomma: chapeau!
Nei dialoghi ascoltati dai Carabinieri vengono poi sottolineate le precipue caratteristiche criminali di ’u prufissuri: disprezzo per il traffico di droga e divieto di uccidere donne e bambini. Per il resto… diamine! Con le estorsioni e i danneggiamenti mica si può andare troppo per il sottile… E per Lauria «se uno sbaglia sbaglia», e lui – che ha contatti con tutti – è inflessibile con coloro che sgarrano o non si sottomettono, da buon re indiscusso – e temuto – della Mafia di Licata (dice Lutri: «Ma chi minchia ci deve fermare più?»).
“RAGUSA 19/08/2019…”
È un costernato Antonino Recca, Presidente del Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Sicilia, quello che si accinge a scrivere una “Relazione riservata” (finora inedita) al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi. La data è quella del 19 agosto 2019… Il 31 luglio, infatti, è accaduto il patatrac: Vito Lauria, tecnico informatico di 49 anni, e suo padre Giovanni (insieme ad Angelo Lauria, farmacista, cugino del primo e nipote del secondo) sono stati arrestati nell’ambito dell’operazione antimafia “Halycon”, nel corso della quale è stata sgominata una fitta rete di collaborazione tra Cosa Nostra agrigentina e catanese (nello specifico la “famiglia” mafiosa di Caltagirone capeggiata da Salvatore Seminara, esponente mafioso di indiscussa importanza), prodromica all’infiltrazione dei lavori relativi alla realizzazione di un importante complesso turistico alberghiero e alla demolizione di immobili abusivi nel Comune di Licata. Le accuse contestate sono di associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato.
Per il vecchio boss Giovanni nessun incomodo, del resto è uomo abituato al carcere e a trovarsi a che fare con la giustizia, saprà cavarsela, Vito però… be’, Vito è un’altra cosa, ed è lui “lu focu ’ranni” (il grosso problema).
Vito Lauria, infatti, non è uno sconosciuto, bensì il tre volte Maestro Venerabile della Loggia “Arnaldo da Brescia” n. 959 all’Oriente di Licata (Agrigento), la stessa in cui fu “iniziato” il poeta Salvatore Quasimodo.
«Venerabilissimo Gran Maestro», esordisce così Recca, e ne immaginiamo tutta la tensione di uomo perbene di fronte alla storiaccia: «così come ti avevo preannunciato, il 9 agosto scorso, presso la casa massonica di Licata, ho incontrato da me convocati, i Fratelli della R.L. Arnaldo da Brescia [ndr: presenti in numero di 8, dei 22 convocati, di cui due Avvocati]. Mi affiancava il Fr. Antonino Callaci, Ispettore Circoscrizionale … Non ho potuto visionare i fascicoli personali dei Fratelli, poiché sono stati tutti sequestrati dai Carabinieri del ROS, la mattina stessa del fermo del Fr. Vito Lauria. Per questo motivo, non sono stato in grado di verificare né chi ha proposto l’ingresso del Fr. Vito né di esaminare le tavole informative che lo riguardavano. L’incontro con i Fratelli è stato cordiale ma, ovviamente, in un’atmosfera molto mesta e amareggiata. Tutti hanno esternato il proprio rincrescimento per quanto successo e per le inevitabili conseguenze che ricadranno sulla Loggia».
Continua, il Presidente Recca: «Alla mia domanda specifica: “Nel 2004, quando Vito ha presentato richiesta di adesione al GOI, il Fratello presentatore e i componenti della Loggia non erano a conoscenza che il padre era un noto criminale già a l’epoca?”, la risposta è stata unanime. I Fratelli anziani presenti, hanno affermato che il genitore Giovanni Lauria, ex bancario, aveva sì avuto problemi con la giustizia per reati bancari, ma che non avevano mai avuto dubbi sull’onestà del figlio Vito che in paese, godeva di grande stima personale. Infatti, tutti hanno sostenuto che, nonostante la cattiva condotta del padre, Vito in paese, fino all’arresto del 31 luglio scorso, beneficiava di una buona nomea perché, pare, abbia dimostrato più volte che nulla aveva a che fare con le attività delinquenziali del genitore e che aveva sempre tenuto un’integerrima condotta morale e profana. A loro dire, l’arresto del Fr. Vito è stata una sorpresa per tutta la cittadinanza». Forse meno – correggiamo noi – per chi lo conosceva meglio, come Lucio Lutri, altro “Venerabile” del G.O.I. e funzionario regionale (di cui diremo meglio alla fine), personaggio che nelle intercettazioni viene dipinto così: «Ha due facce… una… e due… e come se io la mattina quando mi sveglio con una mano tocco il crocifisso e ‘a dda banna’ ho il quadro di Totò Riina e mi faccio la croce!»…
«Quando ho insistito sull’opportunità di aver acconsentito all’ingresso nella nostra Obbedienza di un profano comunque legato da stretti rapporti di parentela con un pregiudicato, è sembrato che il solo Fr. Salvatore Scuto, già Ispettore Circoscrizionale e il Fr. Angelo Peritore, già vice presidente del Collegio Circoscrizionale diciotto anni fa, avevano avuto sentore che il Giovanni Lauria non fosse solo un semplice bancario infedele, ma anche un fiancheggiatore della Mafia locale. La circostanza, è stata confidata in mia assenza dai Fratelli predetti, se pur a denti stretti, all’Ispettore Circoscrizionale Fr. Antonino Callaci, due giorni prima della mia visita… Anche la decisione di eleggere il Fr. Vito quale M.V. della R.L. Arnaldo da Brescia per ben tre volte, è stata giustificata come una forma di gratificazione per il suo ammirevole comportamento massonico e per la sua costante partecipazione ai Lavori di Loggia e del Collegio Circoscrizionale (quale delegato), condotta che negli anni gli aveva permesso di ricevere la stima e l’affetto di tutti i Fratelli siciliani. Più volte i Fratelli della R.L. Arnaldo da Brescia presenti, hanno insistito su un punto, che il Fr. Vito ha dedicato la sua vita a due sole passioni, l’agricoltura e la Massoneria … e che, forse, la sua unica responsabilità potrebbe essere quella di essere il M.V. della Loggia ed essere così considerato l’anello d’unione con Lutri [ndr: già Maestro Venerabile della Loggia “Pensiero e Azione” n. 1498 di Palermo]».
Insiste Recca: «Per la cronaca, il 14 agosto il giornale online “siciliareporter.com”, riporta un’intercettazione telefonica diffusa dagli inquirenti, di un colloquio tra Lutri e tale Giovanni Mugnos, durante il quale “quest’ultimo riferiva al suo interlocutore (Lutri) che Lauria Vito in relazione ad un intervento, che LUTRI doveva effettuare per la risoluzione dei debiti che LAURIA Giovanni aveva maturato per le spese della sua detenzione in carcere, gli aveva testualmente evidenziato che «tu non lo sai io e Lucio a chi apparteniamo… andiamo a finire… andiamo a finire sui giornali», con ciò chiaramente riferendosi alla affiliazione massonica che lo accomunava a LUTRI ed il cui disvelamento, qualora correlato alla vicenda che questo ultimo stava seguendo per conto del capomafia LAURIA Giovanni, avrebbe avuto certamente un clamoroso effetto mediatico”».
LE “IMPRESSIONI” DEL PRESIDENTE DEL COLLEGIO CIRCOSCRIZIONALE DELLA SICILIA
Svolta la disamina appena riportata, Recca riferisce al Gran Maestro Stefano Bisi le sue “impressioni”, condivise anche dall’Ispettore Circoscrizionale che lo coadiuva: «Senza dubbio, ho trovato una Loggia devastata nell’amor proprio e con l’autostima pari a zero. I Fratelli sono mortificati e basiti per quanto sta avvenendo, rosi dal dubbio se il Fr. Vito sia stato un grande attore oppure sia stato lo strumento inconsapevole delle volontarie e recidive attività illegali del genitore. La sensazione di umiliazione è amplificata dalla pioggia di critiche, dai commenti denigratori e dalle sentenze di condanna tout court, provenienti, non solo dal mondo profano, ma, e soprattutto, dalla nostra stessa Comunione».
Poi l’affondo: «Archiviati per il momento i sentimenti personali dei singoli Fratelli, è innegabile che i Fratelli della R.L. Arnaldo da Brescia, ma a questo punto tutti i Fratelli licatesi della R.L. Quasimodo, non potevano non sapere della pericolosità criminale del padre e se, paradossalmente, l’ingresso del Fr. Vito nel 2005 può essere giustificato come un grande gesto di benevolenza e comprensione, altrettanto non è comprensibile e giustificabile la sua elezione a M.V. alla fine del 2016 (l’inchiesta giudiziaria ha inizio proprio in quel periodo). Gravi ragioni di opportunità, ambientali e sociali, avrebbero dovuto preventivamente far riflettere tutti i Fratelli Maestri dell’epoca, ed evitare così che a governare la Loggia fosse eletto il Fr. Vito. Infatti, non si può non tener conto che già nel 2006 (l’anno successivo dell’iniziazione del Fr. Vito) Giovanni Lauria fu arrestato e poi condannato per concorso in associazione mafiosa, scontando otto anni di carcere, cinque in detenzione e tre ai domiciliari (operazione GHOST II / Saraceno)».
E ancora: «Senza mai perdere di vista la “presunzione di innocenza” che noi massoni per primi rispettiamo ciecamente nei confronti di chiunque, ritengo che la R.L. Arnaldo da Brescia, certamente in buona fede, ma con colpevole accondiscendenza e saccente sufficienza, abbia ampiamente sottovalutato l’opportunità dell’ingresso del Fr. Vito e la sua successiva progressione interna all’Ordine, in gradi e incarichi. L’Officina nel suo insieme, non ha calcolato e prudentemente meditato, l’impatto negativo che la presenza del figlio di un noto delinquente in una Loggia del Grande Oriente d’Italia, avrebbe avuto sull’opinione pubblica».
Infine: «Ritengo che la R.L. Arnaldo da Brescia … abbia abbassato sia la guardia sia l’attenzione, su quanto accade in quel territorio più che in altre province, ritrovandosi ora suo malgrado, nell’occhio del ciclone. D’altra parte, la costante presenza nella R.L. Arnaldo da Brescia di Fratelli di grande preparazione massonica e grandissima generosità fraterna … fa al momento e fino a prova contraria, escludere la malafede di qualcuno dei Fratelli licatesi. Bisogna però prendere atto e consapevolezza che la conclamata e storica presenza di clan mafiosi nel comprensorio licatese, rende in quei territori, delicata e sensibile ogni richiesta d’ingresso dei bussanti, domande che dovranno, sempre di più, essere passate al setaccio e al microscopio delle rispettive Logge, pur al cospetto di un casellario giudiziario immacolato, con molta più cura e attenzione che in altre provincie siciliane».
LA RICHIESTA DI SANZIONI IMMEDIATE
provenienti dagli organi governativi del G.O.I.»
«Tutto ciò predetto, in attesa che la posizione giudiziaria del Fr. Vito si definisca con più chiarezza e sia escluso un coinvolgimento di altri Fratelli della stessa Loggia, mi permetto di proporti, Venerabilissimo Gran Maestro, di prendere in considerazione la sospensione temporanea della R.L. Arnaldo da Brescia n. 959 all’Or. Licata ex art. 18, 24 Cost. e 80 Reg., a salvaguardia della Comunione e della stessa Officina. Questo darà a tutti noi, il tempo sufficiente per rilevare oggettive e fondate responsabilità personali, nel caso ce ne fossero, e di dare, così facendo, una risposta interlocutoria a tutti i Fratelli siciliani che, confusi dagli eventi accaduti, necessitano di segnali concreti provenienti dagli organi governativi del G.O.I. – Con il rituale T.F.A.».
«TUTTO È GIUSTO E PERFETTO». NON PROPRIO…
Potrebbe immaginarsi, ora, che alle amareggiate e lodevoli parole del Presidente Antonino Recca, corpose di buoni propositi, sia conseguita la reazione altrettanto ferma e inequivocabile da parte degli “organi governativi del G.O.I.”, da egli evocati con funzione punitiva, ebbene: niente di tutto questo.
Il 31 agosto arriva una prima “testimonianza” da Roma, il latore è il “fratello” Giuseppe Trumbatore, Gran Tesoriere del Grande Oriente d’Italia. L’occasione è la riunione del Collegio Circoscrizionale. Di fronte ai Maestri Venerabili siciliani, adunati in assise e desiderosi di “provvedimenti severi”, egli comunica invece «la sensibilità del Gran Maestro e della Giunta, che stretti in catena d’unione con il nostro Collegio ribadiscono che i nostri princìpi e i nostri metodi sono ancor più utili e impegnativi nei momenti di maggiore difficoltà, come l’attuale». Il cui senso, di fronte alla gravità degli accadimenti, suona simile alla famosa “supercazzola prematurata” del funambolico conte Mascetti di “Amici Miei”.
Da un frame del film “Amici Miei”
E così, vista l’aria che tira da “Villa il Vascello”, anche il buon Recca si adegua immediatamente, e abbandonata la “necessità dei segnali concreti”, vira deciso sulla più sicura e gattopardesca linea governativa (forse nel timore – fondato – che insistendo sarebbe stato – al colmo dei colmi – colpito lui da Tavola d’Accusa, anziché gli arrestati!). Non più, quindi, rigore e fermezza, ma… contrordine compagni! Meglio riconvertirsi alla «necessità di agire a tutela dell’immagine esterna della Comunione» (Comunicazione del 04/09/2019 a firma Antonino Recca). Come si dice: “bonanotte ar secchio!”
Si arriva così al 19 settembre, quando dalla Capitale giunge il tanto atteso “oracolo” sulla vicenda. In gergo militare è una “rotta”. A pronunciarsi la stessa Giunta del G.O.I.: «Poiché le responsabilità penali sono per legge esclusivamente personali, e perché il Grande Oriente d’Italia persegue il garantismo assoluto per chiunque, per cui chiunque è innocente fino a quando non vi saranno sentenze di condanna passate in giudicato, la Giunta è arrivata alla ragionata e ponderata conclusione che ogni azione repressiva nei confronti della Loggia in oggetto, non sarebbe propedeutica al buon nome e all’immagine della Comunione».
Quindi garantismo e impunità assoluti: e che se ne facciano una ragione tutti i “fratelli” siciliani! Avranno pensato a Roma. Soprattutto coloro i quali avevano chiesto un «forte segnale» contro le «mele marce»: da quelli della Rispettabile Loggia “Logos“ di Siracusa, il cui Maestro Venerabile Ettore Beretta aveva dichiarato, durante la riunione collegiale del 31 agosto, di non essere in grado di garantire il futuro della sua Officina, «perché molti Fratelli sono in attesa delle decisioni del Grande Oriente d’Italia, altrimenti si porranno in posizione di assonnamento», a quelli della Rispettabile Loggia “Bent Parodi di Belsito“ di Catania, ove il Maestro Venerabile Silvio Pellegrino aveva consigliato «la necessità di comprendere a fondo quale era stato il coinvolgimento delle Logge interessate», da quelli – ancora – della Rispettabile Loggia “Agape“ di Noto, il cui Maestro Venerabile Salvatore Gaudino auspicava che «il Grande Oriente d’Italia prenda una posizione chiara, poiché il Regolamento è stato violato», ai valorosi della “Giordano Bruno“ di Termini Imerese (ad eccezione dei signori: Gentile Castrenze, Giardina Stefano e Mattina Antonio) – gli unici che avranno il coraggio di portare alle estreme conseguenze l’adesione ai propri ideali massonici, con il successivo Comunicato del 3 ottobre, annunciante che la loro Loggia non avrebbe proseguito «i propri lavori rituali sotto gli auspici del Grande Oriente d’Italia» – ove il Maestro Venerabile Ercole Piccione aveva invocato non solo una netta presa di coscienza da parte del G.O.I. circa la gravità della situazione che si era manifestata, ma anche «l’immediata espulsione degli indagati e l’abbattimento delle Colonne delle Logge di appartenenza». Ai tanti altri (dal Verbale della riunione collegiale).
Tutte aspettative frustrate, o tradite (come si preferisce), in nome di un certo “negazionismo” e della salvaguardia della “facciata”.
LA SCELTA: «CHIDDU È LU BONU, CHI VIDI E CHI TACI». MA TERMINI IMERESE SI RIBELLA E DICE «NO» A ROMA
Qualcuno, tuttavia, non ci sta. In una missiva al Gran Maestro del 7 agosto 2019 i “fratelli” della “Giordano Bruno” n. 1376 di Termini Imerese scrivono: «Considerati i recenti gravi fatti di cronaca giudiziaria riportati anche dalla stampa nazionale e riguardanti i F.lli del G.O.I. Sicilia Lauria Vito, MV della Loggia Arnaldo da Brescia di Licata, e Lucio Lutri, ex MV della Loggia Pensiero e Azione di Palermo, sottoposti ad ordini di custodia cautelare per reati di Mafia da parte del gip del Tribunale di Palermo, auspicano che la Giunta del G.O.I., ai sensi degli arti. 23 della Cost. e 80/82 del Reg., adotti i provvedimenti di propria competenza». E concludono: «L’adozione di una sanzione drastica servirebbe a tutelare la posizione di tutti gli iscritti al G.O.I. Sicilia ed in particolare di quei fratelli che nel corso di questi anni si sono esposti pubblicamente, promuovendo azioni di solidarietà sociale e attività culturali, proprio per contrastare il pregiudizio antimassonico. In mancanza delle idonee iniziative atte a contrastare efficacemente fatti e accadimenti che possano arrecare discredito e nocumento all’istituzione massonica del GOI valuteremo l’opportunità di sospendere in prima istanza i lavori rituali salvo poi assumere ulteriori determinazioni».
Di seguito le Lettere che costituiscono la documentazione originale degli eventi successivi… Atti fino ad oggi ritenuti “segreti”:
Lasciando, come sempre, le ulteriori considerazioni alla libera sensibilità dei lettori, riteniamo importante tuttavia, in questa sede, riportare le parole espresse dal Venerabilissimo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi in occasione della consueta “Balaustra” di inizio anno (Balaustra N. 5/SB – 2 Gennaio 2023, E.’.V.’.), proprio perché in esse può ravvisarsi quel “disallineamento” sofferto allora come oggi, precisamente sull’affaire Tumbarello, da tanti “fratelli”, non solo siciliani: «Vorrei farvi rilevare, semmai, che i nostri Antichi Doveri sono addirittura più stringenti rispetto alle norme della Costituzione della Repubblica Italiana perché attengono a principi etici e morali, per esempio quello della Lealtà, che vanno osservati pur non rappresentando una violazione delle leggi dello Stato», e ancora: «Sappiate essere giusti e leali in ogni circostanza e capaci di assumerVi le responsabilità previste dagli Antichi Doveri».
Già… le «responsabilità previste dagli Antichi Doveri»… quelle che vorrebbero la Massoneria come un “sistema morale” molto lontano dai tecnicismi giuridici, pur leciti sul piano profano, della difesa penale.
La “Lealtà” a cui si riferisce Bisi, inoltre, prima ancora che quel sentimento che deve animare i rapporti all’interno dell’Istituzione, deve essere intesa come la condotta di buona fede verso lo Stato cui il Libero Muratore appartiene, essendo egli: «un pacifico suddito dei Poteri Civili, ovunque egli risieda o lavori e non deve essere mai coinvolto in complotti e cospirazioni contro la pace e il benessere della Nazione, né condursi indebitamente verso i Magistrati inferiori» (Antichi Doveri, II. Del Magistrato Supremo Civile e Subordinato, 1723).
Ogni comportamento non collimante con tale definizione pone, automaticamente, l’adepto/associato in una condizione di contrasto con gli ideali della Libera Muratoria. Ed è appunto per questo che l’art. 15 della Costituzione dell’Ordine al suo ultimo comma recita: «La pendenza di un procedimento penale non preclude il giudizio massonico», proprio perché – e citiamo ancora Stefano Bisi (Balaustra N. 5/SB – 2 Gennaio 2023, E.’.V.’.) – «i nostri Antichi Doveri sono addirittura più stringenti rispetto alle norme statali». È infatti pacifico che la giustizia massonica pone al proprio vaglio comportamenti moralmente sensibili, quando quella profana atti penalmente rilevanti.
LA DICHIARAZIONE DEL GRAN MAESTRO STEFANO BISI A “LIVESICILIA.IT” DEL 27 NOVEMBRE 2019
Ma al di là di qualsiasi ulteriore considerazione di natura latomistica, non possiamo esimerci dal segnalare un’altra vistosa incongruenza. Ci riferiamo alla dichiarazione rilasciata da Stefano Bisi alla testata giornalistica on-line “livesicilia.it” in data 27 novembre 2019.
Bisi, intervistato dalla giornalista Laura Distefano, alla domanda: «Gran Maestro Bisi, come ha fatto il figlio di un boss a diventare Maestro Venerabile?» risponde: «Posso dirle in merito che quando è stato iniziato, nel 2004, era il figlio di un bancario incensurato e ritenuto insospettabile, come scrivevano i giornali al momento dell’arresto avvenuto nel 2006. Nel corso degli anni si è comportato da buon fratello all’interno dell’Officina di cui faceva parte e, per quello che potevamo sapere, da bravo cittadino al di fuori dell’Istituzione». Tale dichiarazione, però, si scontra con quanto riferito nella missiva “Riservata” a lui indirizzata in data 19 agosto 2019 dall’allora “N° 1” del G.O.I. siciliano Antonino Recca (riportiamo nuovamente il testo): «Archiviati per il momento i sentimenti personali dei singoli Fratelli, è innegabile che i Fratelli della R.L. Arnaldo da Brescia, ma a questo punto tutti i Fratelli licatesi della R.L. Quasimodo, non potevano non sapere della pericolosità criminale del padre e se, paradossalmente, l’ingresso del Fr. Vito nel 2005 può essere giustificato come un grande gesto di benevolenza e comprensione, altrettanto non è comprensibile e giustificabile la sua elezione a M.V. alla fine del 2016 (l’inchiesta giudiziaria ha inizio proprio in quel periodo). Gravi ragioni di opportunità, ambientali e sociali, avrebbero dovuto preventivamente far riflettere tutti i Fratelli Maestri dell’epoca, ed evitare così che a governare la Loggia fosse eletto il Fr. Vito. Infatti, non si può non tener conto che già nel 2006 (l’anno successivo dell’iniziazione del Fr. Vito) Giovanni Lauria fu arrestato e poi condannato per concorso in associazione mafiosa, scontando otto anni di carcere, cinque in detenzione e tre ai domiciliari (operazione GHOST II / Saraceno)».
Ci domandiamo, arrivati a questo punto, chi avesse ragione tra il Gran Maestro Bisi e il Presidente delle Logge siciliane: «Non sapevamo», come afferma Bisi, o «È innegabile che i Fratelli della R.L. Arnaldo da Brescia, ma a questo punto tutti i Fratelli licatesi della R.L. Quasimodo, non potevano non sapere», come sostiene Recca?
Non è l’unica incongruenza. Stefano Bisi, infatti, sempre nell’intervista rilasciata a “livesicilia.it”, a fronte di alcune domande molto precise rivoltegli dalla giornalista sulla posizione della Loggia “Giordano Bruno” di Termini Imerese in seno al Grande Oriente d’Italia, non sembra fornire risposte granché trasparenti (riportiamo lo screenshot dello spezzone giornalistico per come è tuttora riscontrabile nel web):
Alla domanda della giornalista: «La Giordano Bruno vi ha comunicato di aver lasciato il G.O.I. Quale è la sua posizione?», egli risponde: «La Giordano Bruno non ha lasciato il Grande Oriente d’Italia ma continua a vivere». Il Gran Maestro vorrà spiegare – soprattutto agli “iniziati” – come faceva a “vivere” una Loggia che non enumerava più la cifra minima di costituenti atta a garantire l’apertura dei propri lavori rituali?
L’art. 17 della Costituzione dell’Ordine (G.O.I.), a proposito della “Struttura della Loggia”, al suo primo comma recita: «La Loggia è composta dai Fratelli iscritti nel piè di lista. Per costituire una Loggia è necessaria l’adesione di almeno sette Fratelli con il Grado di Maestro». Anche la Tradizione (concetto non del tutto estraneo alla Massoneria) fissa nel numero di sette i “fratelli” necessari a rendere una Loggia “regolare”, di cui almeno cinque di questi devono essere Maestri. Perciò, quali possano esser state le “ingegnerie” che si dovettero attuare per tenere in vita ciò che di fatto si era estinto non è dato sapere. Domanda: «È forse per rimpinguare l’insufficiente pie’ di lista della defunta Loggia “Giordano Bruno” che i vertici siciliani si adoperarono con trasferimenti “posticci” di “fratelli” ultranovantenni (nemmeno più frequentanti) da altre Officine?» Il quesito si giustifica con il fatto che è esattamente questo che, affidabili fonti interne, ci hanno riferito essere avvenuto; conseguentemente chiediamo al Gran Maestro Stefano Bisi se anch’egli ce lo può confermare.
Subito dopo la giornalista sollecita: «Perché avete inviato una lettera alla Giordano Bruno dove chiedete la restituzione di tutti gli oggetti che attestano l’appartenenza al G.O.I.», e Bisi: «È stato chiesto al Maestro Venerabile in carica di trasferire il materiale necessario per il buon funzionamento della Loggia in un’altra sede». Più che “in un’altra sede” a noi sembra che la risposta più corretta avrebbe dovuto essere “con altri fratelli”, se quanto abbiamo appreso circa i trasferimenti disposti d’ufficio per “riempire” un pie’ di lista divenuto insufficiente corrisponde a verità.
UN BOCCONE “TROPPO” AMARO…
Che una Loggia siciliana decida, sulla base di una motivazione tanto seria e grave, di revocare la propria obbedienza a “Palazzo Giustiniani” è già di per sé un fatto perturbante, ma ancor più sconcertante è constatare il tentativo assurdo, compiuto dalla Giunta del G.O.I. e dal Presidente Recca, di nascondere in tutti i modi la vicenda. Peraltro, attuando comportamenti in precedenza smentiti da atti ufficiali.
Tutto ciò fino a costringere la nuova <Libera Loggia Giordano Bruno> di Termini Imerese alla comunicazione che segue, indirizzata “Alla Giunta del Grande Oriente d’Italia” (anche questo documento è rimasto finora inedito):
Come si evince, essa riporta l’intimazione, rivolta a “Villa il Vascello”, di prendere finalmente atto del fatto che i “fratelli” in calce si sono voluti dissociare da quelle logiche “protezionistiche” («comportamenti dei vertici del G.O.I. non conformi ai principi propugnati dalla Libera Muratoria») che impediscono sia di sottoporre a processo massonico sia l’espulsione dal Grande Oriente d’Italia di coloro i quali si vedano coinvolti, a qualsiasi titolo, in vicende di Mafia, ’Ndrangheta e similari.
A questo punto è lecito chiedersi: «Possibile che tanta insistenza a non voler ammettere la “lezione” che arrivava da Termini Imerese fosse giustificata dal timore di dover riconoscere che in Sicilia c’erano massoni veri e per bene, giustamente intransigenti verso ogni possibile accostamento della loro Massoneria alla criminalità organizzata?»; in altre parole: «Potrebbe essere apparso inopportuno, alla Giunta del G.O.I., che qualche “fratello” invocasse l’espulsione, o quantomeno il processo ex art. 187 del Regolamento dell’Ordine per condotta antimassonica (cioè incompatibile con gli ideali del Grande Oriente d’Italia), per i due “Venerabili” agli arresti Vito Lauria e Lucio Lutri?»
Se così fosse – ci domandiamo ancora – questo atteggiamento non sarebbe in palese contrasto con l’esortazione contenuta nella Balaustra N. 5/SB – 2 Gennaio 2023, E.’.V.’., rivolta a tutti “fratelli” della Comunione, in cui si raccomanda: «Sappiate essere capaci di assumerVi le responsabilità previste dagli Antichi Doveri»?
Garantire, anziché frustrare, il legittimo desiderio di “integrità” dei tanti “fratelli” onesti non dovrebbe rappresentare la più importante fra queste declamate “responsabilità”?
L’art. 187 del Regolamento dell’Ordine, imponendo al Grande Oratore la formulazione di Tavola d’Accusa nei casi di “arresto” del “fratello” indagato, non ne dispone (né potrebbe disporne) la “condanna” all’espulsione tout court, marca però il recepimento nell’ordinamento giudiziario massonico del disvalore della condotta profana posta alla base del provvedimento restrittivo della libertà personale emanato dal giudice statale, consentendone il vaglio interno. Anche il citato articolo è, quindi, garantista, ma la sua applicazione segnerebbe – sotto il profilo dell’istituzione massonica – un distinguo giudiziario che invece manca del tutto, frustrando così la possibilità di un successivo decreto di espulsione.
Come mai, allora, questa riluttanza a punire, o perlomeno a stigmatizzare, questi “fratelli” in odore di criminalità organizzata?
Anche perché le cronache registrano che, ogni giorno, sia il Promotore centrale di giustizia (alias “Grande Oratore”) sia i Promotori di giustizia periferici (cosiddetti “Oratori circoscrizionali”) continuano ad attivare i Tribunali massonici (attraverso lo strumento delle Tavole d’Accusa) per i motivi i più vari e banali, tanto da legittimare – addirittura – il sospetto di un utilizzo personalistico, e a tutto vantaggio dell’esecutivo (leggasi “Giunta”), delle varie Corti interne.
Possibile, viene da chiedersi, che questi severi e inflessibili censori si trasformino, di fronte alle condotte antimassoniche di quegli associati posti agli arresti con l’accusa di favoreggiamento e fiancheggiamento alla criminalità organizzata, in premurosi garantisti se non, addirittura, in timide educande?
E oggi, sull’analogo “Affaire Tumbarello” e il “caso” della Loggia “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” n. 1035 all’Oriente di Campobello di Mazara (della quale il Gran Maestro è membro onorario fin dal 2016 e Alfonso Tumbarello uno dei Fondatori), non è lecito domandarsi il motivo per il quale non sia intervenuto un dibattito, tra i “fratelli” siciliani, pari almeno a quello apertosi tre anni e mezzo fa sui fatti della “famiglia” mafiosa di Licata, sul “Venerabile” Lucio Lutri e sulla Loggia “Arnaldo da Brescia”?
Passino, infatti, i rapporti della cosca dei Lauria con Bernardo Provenzano (e vabbè), ma se poi un “fratello”, medico, della stessa Loggia dove risulta essere a pie’ di lista il Gran Maestro si mette a prescrivere allegramente (tanto chissenefrega!) visite specialistiche e VIAGRA ad uno dei più pericolosi criminali mondiali, durante il suo periodo di latitanza…… una preoccupazione può venire, o no? O, se viene, non può venire perché altrimenti è da “Tavola d’Accusa” per “slealtà” nei confronti del Gran Maestro e della sua Giunta?
Certo, può ben immaginarsi come non solo per i “fratelli” siciliani, ma più in generale per i 23mila “silenziosi” del G.O.I., domandare chiarezza sui fatti appena narrati non sia “salutare”, giacché gli esporrebbe a repressioni e ritorsioni simili a quella che ha avuto luogo contro un prestigioso personaggio accademico e massonico del calibro del Professor Claudio Bonvecchio (già Grande Oratore e poi Gran Maestro aggiunto del G.O.I.), espulso dall’Obbedienza per aver osato contestare l’utilizzo personalistico e anticostituzionale della “giustizia massonica” all’interno dell’organizzazione.
Ma se questo riscontriamo valere per gli aderenti, non lo stesso consta per le testate giornalistiche nazionali e l’opinione pubblica italiana, che invece si interrogano sul rischio di fenomeni collusivi tra Massoneria, Mafia e ’Ndrangheta, e derive antirepubblicane, a qualsiasi livello questi possano verificarsi.
CI RISIAMO: IL “DOTTORE” ALFONSO TUMBARELLO
Il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto, a proposito di Alfonso Tumbarello, ha scritto: «ha dimostrato una non comune e spregiudicata capacità delinquenziale, ancora più melliflua e sfuggente perché celata attraverso lo svolgimento di una nobile professione, e ancor più grave perché manifestata attraverso l’abuso delle pubbliche funzioni certificative che ha il medico di base». E ancora: «egli ha garantito che la latitanza si svolgesse a Campobello di Mazara, nel cuore del mandamento mafioso di Castelvetrano, che Messina Denaro potesse curarsi “a casa sua”, evitando il necessario allontanamento dal “territorio”, che avrebbe minato anche il suo ruolo di vertice di Cosa nostra. Il contributo del dottore Tumbarello è stato dunque finalizzato consapevolmente a favorire e rafforzare l’intera organizzazione mafiosa, alla luce del contesto ambientale in cui è avvenuta la condotta (Campobello di Mazara) e della fondamentale considerazione che in caso di arresto del suo vertice sarebbe stata inevitabilmente compromessa l’intera attività dell’associazione mafiosa».
Di fronte a tali dichiarazioni – insistiamo – è mai possibile che nessuno si domandi come mai nell’estate del 2019 ci fu una netta presa di posizione della Massoneria siciliana contro quelli che erano i segnali inquietanti di un’evidente infiltrazione mafiosa nelle maglie del G.O.I. (fino al documentato atto di accusa della Loggia “Giordano Bruno” n. 1376 di Termini Imerese contro la Giunta di “Villa il Vascello”), ed oggi invece, di fronte ad una vicenda ancora più smaccata, non vola una mosca?
Forse – ci interroghiamo – quella “mosca” non può volare vista l’appartenenza del Gran Maestro al pie’ di lista della Loggia incriminata (“Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” n. 1035)?
Ricordiamo che l’11 aprile del 2006, giorno dell’arresto di Bernardo Provenzano, nel casolare di ’u viddanu furono sequestrati numerosi “pizzini” scambiati tra il boss ed alcuni tra i maggiori esponenti di Cosa nostra. Poiché l’identità dei destinatari dei messaggi e dei tramiti era nascosta dietro codici numerici e nomi di copertura, gli investigatori iniziarono una lunga e complessa ricerca delle reali identità. Matteo Messina Denaro risultò essere l’autore di alcuni messaggi firmati “suo nipote Alessio” in cui, informando Provenzano, faceva riferimento ad un soggetto indicato come ‘VAC’ o ‘VC’, il quale gestiva lucrosi affari per conto di Cosa Nostra. La Polizia Giudiziaria scoprì che si trattava di Antonio Vaccarino, pregiudicato per reati di Mafia e traffico di droga (assolto dall’accusa di 416/bis sarà di nuovo condannato per “favoreggiamento aggravato” nell’aprile 2019), già assessore e sindaco di Castelvetrano e già membro (trent’anni or sono) della locale Massoneria del Grande Oriente d’Italia.
È agli atti dell’operazione antimafia “Golem II” che Vaccarino, infiltrato dal S.I.S.DE di Mario Mori per scovare Matteo Messina Denaro, con lo pseudonimo di “Svetonio“, pur conoscendo direttamente Salvatore Messina Denaro, fratello del boss latitante, avendolo avuto come suo studente, si rivolse proprio ad Alfonso Tumbarello per avere un contatto sicuro con lui. L’Incontro si svolse effettivamente in maniera riservata, presso lo studio del medico campobellese in Via Umberto I al civico 140, ed ebbe la durata di circa un’ora, come confermato dallo stesso Tumbarello durante i recenti interrogatori in carcere.
Certo, potrebbe anche trattarsi di una serie rocambolesca di “sfavorevoli coincidenze”, ma la domanda che campeggia su tutte le altre pare semmai ulteriormente rafforzata: «non sapevamo», come dice Bisi, o «non potevano non sapere», come idealmente ribatte Recca?
Le due versioni presentano uno scarto evidente. Come uno scarto evidente esiste, a volte, tra la teoria e la pratica.
NOTA CONCLUSIVA
Vito Lauria e Lucio Lutri risultano ad oggi condannati alle patrie galere (8 anni a testa), a seguito di sentenza della Terza sezione della Corte d’Appello di Palermo presieduta dal giudice Antonio Napoli, che ha accolto la richiesta avanzata dal sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno.
Particolarmente rilevante è stata considerata proprio la posizione del “Fr.’. Vito” (questa la motivazione della Sentenza: «Deve ritenersi adeguatamente provato che l’imputato in esame facesse parte della cellula mafiosa»), sia per l’appartenenza alla Massoneria sia per essere egli il figlio del boss di maggiore spicco dell’area licatese, per lunghi anni braccio operativo del capomafia provinciale Giuseppe Falsone (quest’ultimo poi catturato a Marsiglia dopo dieci anni di latitanza).
Lutri, invece, funzionario della Regione Sicilia, «grazie alla rete relazionale a sua disposizione quale Maestro Venerabile della Loggia massonica “Pensiero ed Azione” di Palermo, avrebbe acquisito e veicolato agli appartenenti alla famiglia mafiosa informazioni riservate circa l’esistenza di attività di indagine a loro carico» (esattamente l’installazione di microspie finalizzata a compiere intercettazioni ambientali), e sarebbe inoltre intervenuto, «mettendosi in contattato con professionisti e dipendenti della Pubblica Amministrazione compiacenti (in gran parte anch’essi massoni)», per «favori di altra natura», che avrebbero rafforzato l’organizzazione criminale.
(FONTE: INTERCETTAZIONI AMBIENTALI OPERAZIONE “HALYCON”)
Non essendosi nel frattempo registrato alcun provvedimento di espulsione a loro carico, poiché nessun processo massonico li avrebbe riguardati per “condotta antimassonica” ex art. 15 Cost. comma b), i due sono da considerarsi tuttora membri “sospesi” del G.O.I. o – qualcuno riferisce – “depennati” (la qual cosa però risulterebbe davvero bizzarra, perché non si vede cosa c’entrino con il Lauria e con il Lutri le fattispecie previste per il depennamento dall’art. 12 Cost., e cioè l’assenza senza giustificato motivo dai lavori rituali e la morosità). Quindi “Liberi Muratori” e soprattutto “Fratelli“ per effetto dell’art. 7 Cost. commi a): «Il Libero Muratore, con la iniziazione, viene riconosciuto Fratello» e c): «Le prerogative si perdono solo con l’espulsione dall’Ordine».
Naturalmente, fino a prova del contrario. Una “prova” che per ora manca, nella straordinaria latitanza del Gran Maestro Stefano Bisi, il quale evita deliberatamente di fare l’unica cosa che, a normativa interna del G.O.I., andrebbe fatta: incaricare il Grande Oratore di formulare tre Tavole d’Accusa per rispettive condotte antimassoniche, una al Lauria, una al Lutri, l’ultima al Tumbarello. Primo, come già riferito, perché l’art. 15 della Costituzione dell’Ordine, al suo ultimo comma, riferisce che: «La pendenza di un procedimento penale non preclude il giudizio massonico», secondo perché è lo stesso Stefano Bisi (Balaustra N. 5/SB – 2 Gennaio 2023, E.’.V.’.) ad affermare che: «i nostri Antichi Doveri sono addirittura più stringenti rispetto alle norme statali».
Passare “dalla teoria alla pratica” significa essere congruenti con le enunciazioni di principio. O si è congruenti o non si è congruenti, tertium non datur.
L’imbocco di questo contegno rappresenterebbe senz’altro un atto di trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica, della magistratura e delle istituzioni democratiche del nostro Paese, e riporterebbe il Grande Oriente d’Italia alla “stanga”, e al solco, di quell’ideale di Massoneria tanto decantato quanto, purtroppo, pervicacemente negato.
In mancanza, continueremo a fantasticare l’ormai famigerato “trio” Lauria/Lutri/Tumbarello all’incessante lavoro “per il bene e il progresso dell’umanità”, almeno fino alla sentenza in Cassazione. Chissà che il G.A.D.U. (Grande Architetto Dell’Universo) non si impegni per favorire uno sconto di pena…
4 commenti
Si è aperta la contesa per l’elezione del prossimo Gran Maestro e, come al solito, senza esclusione di colpi. Tutti bravi e tutti attenti oggi, tutti in diritto di giudicare, ma qualcuno dei critici di oggi ha mai detto qualcosa al momento giusto? A parte il Prof. Di Bernardo nel 1993, dico. È mai possibile che il dibattito in Massoneria debba essere senza alcuno spessore, solo scontri tra tifosi senza approfondimenti, programmi, visioni del futuro e del ruolo della Massoneria nella società? Piduisti e fascisti hanno destrutturato la saldezza morale della Massoneria e chi si assumerà l’onere di mettere le cose a posto, semmai sia ancora possibile, dovrà partire da qui. Altro che gli attacchi di comodo e la colpevolizzazione del bersaglio di turno!
Si vuole segnalare che, come risulta dalle “memorie” di Gian Piero Pagella (“Un massone racconta” pag. 127), il Prof. Giuliano Di Bernardo «disse qualcosa» già prima del 7 giugno 1992.
Ho letto l’articolo del professor Di Bernardo sulla presenza mafiosa nel GOI, ma mi sono fermato a metà perché leggere il pur preciso e documentato articolo, mi ha dato un senso di fastidio, non certamente per la penna del Professore ma per l’argomento: siamo alle solite!
La Massoneria dal caso P2 in poi, come descrive Mola è ormai sub Judice, tutte le vicende che arrivano all’opinione pubblica riguardanti le Logge sono cronaca nera o giudiziaria, eppure non dimentichiamo alcuni medici massoni morti durante il Covid.
Sembra un peccato originale, che riguarda, secondo me, alcuni massoni italiani che si stanno scollando con la realtà del Paese, ripiegandosi nell’autoreferenzialità e nella ricerca del potere, mai al servizio della società.
Concludo affermando che questi signori chiedono la fedina penale pulita ai profani bussanti, e capitazioni elevatissime, a voi l’ardua sentenza.
Molto utile e necessario