Trento, li 29 giugno 2023
(Comunicazione inoltrata via e-mail a tutte le Logge del Grande Oriente d’Italia)
Caro Fratello Maestro, caro Fratello Compagno d’Arte o Apprendista di una delle quasi novecento Logge all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia,
giusto trent’anni fa, congedandomi proprio dal G.O.I. dopo un triennio di faticosa gran maestranza, scrissi alla Fratellanza giustinianea una Lettera simile a questa (cui diedi per titolo “Epilogo”), motivando la dolorosa decisione con l’assoluta impossibilità – da parte mia – di intervenire con incisive bonifiche là dove inquietanti situazioni destavano l’allarme del Gran Maestro e della Comunione, almeno nella sua parte più sensibile ai valori etici che l’avevano ispirata e accompagnata nel lungo tempo della sua storia.
Fu una decisione certo controversa, alla quale torno spesso con la memoria e con il peso che sempre portano con loro le decisioni difficili. Quelle che cambiano il corso degli eventi non solo sul piano personale, ma anche sul più ampio palcoscenico collettivo.
È ben chiaro che la Fratellanza che allora – nel 1993 – animava i Templi con ordinata ritualità, sempre funzionale alla ricerca spirituale posta alla base del Lavoro muratorio, non è, nella sua compiutezza, quella stessa di oggi. Molti i Fratelli persi, per ciclo di natura, durante il trascorso trentennio, altrettanti e forse di più i profani accolti con l’iniziazione oltre la Porta d’Occidente, per impegnarsi con gli strumenti della coscienza e dell’intelligenza nella Grande Opera.
Adesso che anch’io sono arrivato ad una età grave, tale da costringermi, più che in altri momenti, a consuntivi di vita e a definire la contezza del passaggio di testimone, le circostanze mi hanno portato a riprendere pubblica posizione, stavolta su quanto di abnorme – moralmente e istituzionalmente – sta avvenendo al Vertice del Grande Oriente d’Italia, in sconvolgente e drammatico parallelismo con quanto mi occorse di denunciare, purtroppo inutilmente, trent’anni or sono.
Sono oggi legittimato, come allora, a tanto? La mia risposta è sì. Anzi: ne ho il dovere. Per almeno due ragioni: la prima è perché sono stato Gran Maestro della Massoneria italiana per ben due volte, la seconda è perché ho sempre inteso il mio essere massone come un “servizio”: un servizio volto ad un fine molto più importante della mia persona.
Vado così a chiarire i termini della mia denuncia, che non si riferisce ai casi di infiltrazione criminale che la stessa rete territoriale delle Logge ha segnalato allarmata (intendo la vicenda dei due “Venerabili” condannati, nel luglio scorso, ad 8 anni di reclusione dalla Corte d’Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, e all’arresto del medico del capomafia ex latitante Matteo Messina Denaro, dottor Alfonso Tumbarello), quanto all’approccio riservato a questi fatti dal Vertice nazionale. In secondo luogo, ancora, la mia contestazione va all’utilizzo abnorme, cioè personalistico e iniquo, dello strumento della “giustizia massonica”.
Per quanto riguarda il primo punto, il disagio è stato evidenziato dagli stessi organi apicali del Grande Oriente d’Italia in sede regionale (vedasi la “Relazione riservata” posta dall’ex Presidente della Circoscrizione siciliana Antonino Recca all’attenzione del Gran Maestro Stefano Bisi), con la richiesta di un intransigente e non più procrastinabile contrasto. Mentre per quanto attiene al secondo punto, valga il costante ricorso alla giustizia civile avverso le decisioni prese in sede di Corte Centrale, ormai costantemente impugnate per vizi di legittimità regolamentare (se non addirittura di contrasto costituzionale!).
Eppure, tutte queste sofferenze non hanno mai trovato ascolto in chi pure ha l’onere di intervenire con l’autorità della responsabilità collettiva ed in adempimento ai precisi doveri di mandato, ma, anzi, si sono fatte più dolorose perché vissute nel quadro di un visibile e diffuso scadimento del costume o, al meglio, di un abbassamento della tensione ideale e civile che pur dovrebbe sostenere l’oggi – con il sempre – di qualsiasi comunità massonica.
Così ho saputo, al pari vostro, di comportamenti assiomatici e padronali posti in essere nei confronti di libere coscienze e alte figure della cultura e dell’accademia nazionale, lealmente offertesi per lunghi anni al servizio della Comunione, come è capitato al Fratello Claudio Bonvecchio, e per la verità a molti altri con lui – presidenti di Collegio circoscrizionale e Maestri Venerabili – che la sensibilità personale, e la lucida consapevolezza dei compiti, hanno indotto al contrasto di abusi e gravi inflessioni registrate nella vita della Comunione. Cadute avallate – se non addirittura agite – dal Vertice obbedienziale, in un vero e proprio delirio di sciagurata prepotenza e arroganza.
In questo modo, l’innegabile tentativo della buona semina – quanto faticoso! – del gran magistero del Fratello Virgilio Gaito negli anni ’90, e del Fratello Gustavo Raffi nei primi lustri del nuovo secolo e millennio, è parso contraddetto, e perfino irriso, da numerosi atti deliberativi della Giunta oggi in carica, e in prima persona dal Gran Maestro Bisi e dal Grande Oratore Pietrangeli (inimmaginabile successore del grande – e grande per davvero! – filosofo repubblicano Giovanni Bovio, incredibilmente vilipeso a Cagliari da coloro i quali avrebbero dovuto custodirne la memoria).
E non posso non entrare nello specifico, perché c’è da rammaricarsi, in special modo, che proprio nelle nostre due grandi Isole siano invalse e scandalosamente “gustate”, in tempi recenti, orride nefandezze, e si siano imposti come stile di esempio e pratica, nell’ordinario, condotte tremende, avvilendo una plurisecolare tradizione di buon sentire, di stile e di lealtà superiore. Ma non solo: anche inquinando, per perverso contagio, e comunque disorientando altri luoghi e altre storie di vero e consolidato rispetto. Così è avvenuto, in risalita, dalla magnifica Sicilia del palermitano Fratello Vittorio Emanuele Orlando e del modicano Fratello Salvatore Quasimodo, alla non meno splendida e cara Sardegna del bittese Fratello Giorgio Asproni e del sassarese Fratello Gavino Soro Pirino. Questi Fratelli illustri sono stati onorati? No, non lo sono stati affatto!
Inquietanti compromissioni (mi riferisco ai casi di Vito Lauria, Lucio Lutri e Alfonso Tumbarello) in sferzante offesa alla legalità e alla sana amministrazione della res publica, si sono unite agli insulti gratuiti, ripetuti in volgare cantilena, nientemeno che al signor Presidente della Repubblica. Per infausti protagonisti, a Palermo e a Licata come a Cagliari, uomini delle Logge chiamati ad importanti dignità rituali. Tutti “coperti” (in qualche modo), nelle loro condotte, da altri dignitari… purtroppo di perduta dignità.
Quanto dico lo affermo a ragion veduta, trovando conforto in precise inadempienze regolamentari. Perché, infatti, non portare al vaglio interno, cioè tradotti in un giusto e regolare processo massonico, comportamenti tanto riprovevoli sia nel contesto profano sia in quello iniziatico? Perché scegliere di boicottare il disposto dell’art. 187 del Regolamento dell’Ordine, insieme a quei “Decreti di espulsione” che sono gli unici atti capaci di recidere – e recidere per davvero! – ogni legame tra l’Obbedienza e chi si produce in condotte ignominiose? Perché tanta reticenza a voler stigmatizzare ciò che va stigmatizzato, e a colpire ciò che va colpito? Perché limitarsi a stabilire “sospensioni” quando invece si potrebbe arrivare, utilizzando il normale strumentario giuridico interno, ad espellere, come corpo estraneo, coloro che sono certamente indegni della frequentazione del Tempio?
Per la cronaca: chi insulta il signor Presidente della Repubblica non può aver diritto di cittadinanza né nella Massoneria italiana né tantomeno in quella universale. Per riconoscerlo dobbiamo forse aspettare che ce lo rammenti la sentenza definitiva di un giudice profano? E siamo sicuri che non ci si possa sbarazzare, ben prima di una pronuncia in Cassazione, di “fratelli” che hanno utilizzato “jammer / disturbatori di frequenze” per non essere intercettati dalla Direzione Investigativa Antimafia, mentre concertavano, insieme ai mafiosi, crimini contro lo Stato cui tutti apparteniamo?
In altre parole: esiste o non esiste un “minimo comun denominatore” che possa certificare il decoro e la condotta di ogni massone? E se esiste, qual è?
Domando questo perché l’eccesso di tolleranza – costi quel che costi – spacciata per “garantismo”, non tutela affatto la Famiglia, bensì la affossa.
Dalla Sicilia e dalla Sardegna venne all’Italia, nella persona di Guido Laj, nativo di Messina e di famiglia e formazione cagliaritana, il “Gran Maestro” Guido Laj, al quale molto si deve del rilancio massonico italiano dopo i due decenni di dittatura fascista e gli sconquassi della seconda guerra mondiale. Eppure è proprio al peggio che è venuto dalle due Circoscrizioni – evidentemente confidando nella soccombenza di tanta virtù storica – che il Gran Maestro Bisi e la sua Giunta hanno dato spudorato riparo (abdicando al dovere di farvi argine), perfino nella opacità di certe dichiarazioni rilasciate a quella stampa che, avvertita della rivolta dei valorosi massoni di Termini Imerese e dei mazziniani sardi (sgomenti di fronte agli insulti offerti a Sergio Mattarella, direttamente dalle stanze del G.O.I. sardo), chiedeva conto.
Cari Fratelli, tutto troppo doloroso! Troppo doloroso per me che avrò anche sbagliato, ma ho sempre creduto! E creduto per il bene.
Pertanto, di fronte a tanto scivolo, non è più alla resipiscenza dei Vertici, ormai perduti a se stessi, che io rivolgo un appello che resterebbe sterile: è a ciascuno di voi, Fratelli Maestri, Compagni d’Arte e Apprendisti, in forza alle Logge simboliche ed emulation del Grande Oriente d’Italia, che io sento di dover indirizzare un monito estremo! Ciascuno di voi non è “parte di una massa”, no: è “signore portatore di una responsabilità collettiva”, perché la stessa connotazione dell’Ordine massonico in Comunione non concede diserzioni da sé o identità sottomesse e accessorie.
A fronte della protervia di chi, per cumulo di circostanze infelici, è finito a maneggiare il Supremo maglietto (e sarà giudicato dalla Storia, insieme ai suoi sodali) deve porsi la fierezza di ciascun quotizzante, quale che sia il suo ruolo nell’officina o nell’Oriente d’appartenenza.
L’Ordine massonico – lo ripeto a conclusione di questo messaggio, che è intanto un invito a ciascuno perché si informi con giusto approfondimento su quanto è accaduto e sta accadendo ferendo la credibilità nazionale ed internazionale del Grande Oriente d’Italia, ormai consegnata alla valutazione di tante sedi della magistratura civile e penale – è costituito in Comunione: ciò significa che le attribuzioni “carismatiche”, che passano per le catene di giudizio e fiducia delle Colonne di fraternità, non definiscono separazioni “ontologiche”, ma semmai materializzano, nella quotidianità dell’obbedienza, un rapporto disciplinato e sempre rispettoso non fra “un Vertice” (suscettivo di divenire cupola autoreferenziale) ed “una massa” calpestata, ma tra Fratelli di pari dignità, distinti pro tempore per funzioni, tutte riconducibili alla Grande Opera della fraternità universale.
L’essere partecipi ad una Comunione impone alla coscienza e all’intelligenza, direi alla dignità e alla responsabilità di tutti, di essere e qualificarsi non “folla plaudente” o “folla dileggiante”, ma soggettività autonome e pensanti, associate da superiori vincoli di morale (sì, di morale!), mai di caserma. I massoni, i singoli massoni, non sono e non possono essere “la massa” che si esibì nel campo di Barabba quella volta che Ponzio Pilato pose la tremenda domanda, e neppure “la massa” vociante delle “piazze” al servizio del “duce” di turno.
No. È la coscienza di ciascuno, la sua autonomia di giudizio, la sua schiena dritta che ha diritto di stallo nei Templi massonici e il dovere di pronunciarsi; non omologabili come tifoserie di stadio, i massoni quotizzanti del Grande Oriente d’Italia – da Palermo e Cagliari a Milano e Torino e Trento, da Venezia e Campobasso a Potenza e Pescara, da Napoli e Firenze a Genova e Bari, da Udine e Bologna a Reggio Calabria, Ancona e Perugia fino a Roma – devono oggi stesso prendere piena e completa conoscenza degli eventi che sopra la loro testa – finora liquidata come “anonima” – si sono compiuti. Eventi e circostanze gravemente lesivi del patrimonio morale della storica Fratellanza di Giuseppe Garibaldi ed Ernesto Nathan, e concluderne con personale piena assunzione di responsabilità.
Il Grembiule indossato non è un orpello colorato da esibire in questa o quella cerimonia transeunte, ma un emblema di Dignità. Dignità che non può mai essere perduta.
Con il Triplice Fraterno Abbraccio,
Giuliano Di Bernardo
All’attenzione di tutti i Fratelli del Grande Oriente d’Italia:
6 commenti
Da estraneo non posso che condividere quanto scritto dal mio ex compagno di scuola, prof Giuliano Di Bernardo, la cui levatura morale non è mai venuta meno in tutti questi anni.
Da ex compagno di scuola e da amico io gli auguro di continuare col suo cammino, sempre nel rispetto dei valori della persona, della famiglia e della Società in cui viviamo.
Di nuovo un carissimo saluto ed abbraccio,
Giuseppe Rossi
Conosco il sig. Di Bernardo,da sempre. Dall’età di 16, 17 anni. Frequentavo la sua casa perché amico del fratello. Ho trovato sempre in lui una personalità fatta di rispetto e di lealtà verso il prossimo. Ho letto la sua Lettera, e l’ho trovata coerente con il suo pensiero. Bravo Giuliano, non smentirti mai, vai sempre avanti, con coraggio ed umiltà.
Carissimo Prof.re Di Bernardo, in riferimento alla sua lettera in merito i doveri da seguire è innegabile che la posizione del Gran Maestro Stefano Bisi rispetto i gravi fatti di cronaca relativamente i fatti siciliani ha posto e collocato l’Istituzione Massonica nella collusione e illegalità pertanto lodo il suo richiamo alla giusta attenzione a ché il Massone che riconosce la Tradizione si discosti in modo palese, anche con modi eclatanti, affinché si preservino i valori di giustizia massonica e profana dove la sopraffazione mafiosa rimane interdetta alle porte del Tempio i cui lavori sono, come da lei ribadito, rivolti al miglioramento dell’uomo e della società. Ritengo con voce di coro, unanime, rigida e forte che necessiti formare e irrobustire l’identità massonica e profana del carattere della legalità. Grazie
Caro Prof. Di Bernardo, mi pare logico che lei abbia titolo a sostenere la posizione che sostiene in questa lettera. Vorrei fare solo due osservazioni. La prima è che la campagna elettorale per il rinnovo della Giunta del GOI rende strumentalizzabile il suo discorso, perciò attenzione a chi lo cavalchi non per convinzione ma per interesse elettorale appunto. La seconda è che secondo me non bastano le esternazioni contro le presunte infiltrazioni mafiose per rimuovere i macigni che pesano sulla Massoneria italiana e la bloccano, come non sono bastate nel 1993. Mi riferisco al piduismo e al fascismo che hanno inquinato le Logge fin da poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Per me le infiltrazioni mafiose non possono che essere figlie del patto scellerato tra istituzioni deviate, malavita organizzata e fascisti istituito formalmente per contrastare lo spettro del comunismo (ma che è servito a consolidare le varie caste), patto che ha coinvolto da protagonista la Massoneria italiana. Tutto questo per dire che ci sarebbe bisogno di un ampio dibattito nelle Logge che affronti il tema dei “macigni” di cui sopra e che soprattutto si svolga senza l’impellenza delle elezioni. Ce ne sarebbe bisogno, ma sono pessimista. Vedrà che tutta ‘sta foga battagliera tra le fazioni produrrà qualche morto e qualche ferito (in senso metaforico) ma si spegnerà subito dopo le elezioni e tutto tornerà a funzionare come prima. Ci vorranno i secoli, forse…..
Speriamo che il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo non sia animato da uno spirito di eccessivo ottimismo, e che nel suo intento vi sia la consapevolezza del desiderio di catarsi dei “fratelli”. Prof Mario Caruselli
Condivido la Sua Lettera ricordandola con affetto quale mio G:.M:., che votai. Oggi sono stato messo fuori per “morosità”: la verità è che davo fastidio ad un Loggia diventata servile nei confronti del sig. Bisi, il quale duramente contestavo. Un TFA