CONSIDERAZIONI E DOMANDE
di Giuliano Di Bernardo
Anche se sono uscito dal mondo della Massoneria, ne sono rimasto attento osservatore, almeno del Grande Oriente d’Italia e della Gran Loggia Regolare d’Italia, di cui sono stato Gran Maestro. Un giorno mi pervenne il “Discorso” che Lord Northampton, divenuto nel frattempo Pro-Gran Maestro della UGLE, aveva fatto al Meeting dei Gran Maestri europei tenutosi il 5 e il 6 novembre 2007. In esso aveva dichiarato l’intenzione di rivedere i “Principi per il riconoscimento di una Gran Loggia”, documento emanato dalle Gran Logge di Inghilterra, Irlanda e Scozia nel 1929, modificando il principio dell’esclusività territoriale, in base al quale la UGLE avrebbe potuto riconoscere, nello stesso territorio, due o più Obbedienze massoniche, a condizione che esse si fossero riconosciute reciprocamente. Applicato all’Italia, questo significava che la UGLE avrebbe potuto riconoscere anche il GOI, a condizione che vi fosse un reciproco riconoscimento con la GLRI.
Da spettatore ben informato qual ero, compresi subito che la modifica si era imposta come necessaria per riconoscere il GOI.
Per quale ragione la UGLE era disposta a tutto pur di raggiungere questo scopo? Che fosse questa la sua intenzione lo avevo compreso già nel 2001, quando ebbi l’ultimo incontro con Lord Northampton nella sua residenza di Wynyates, ma la sua caparbietà a insistere su questa strada mi lasciava intuire ragioni che andavano oltre il GOI…
Con il senno di venti anni dopo, penso che una ragione (forse la più importante) fosse la mancata crescita numerica della Gran Loggia Regolare d’Italia e il mancato riconoscimento da parte delle Gran Logge europee e americane.
Di questa situazione vi è un solo responsabile: Giuliano Di Bernardo, il quale si ritrovò al centro di una tempesta perfetta scatenata da forze opposte e contraddittorie. Il mio sogno di introdurre nel nostro paese la vera e pura Massoneria inglese si era avverato. Non tardarono, però, a nascere i problemi. Il Gran Segretario della Gran Loggia Nazionale Francese Yves Trestournel, che aveva tenuto a battesimo la nascita della Gran Loggia Regolare d’Italia, mi fece presente che i Gran Maestri delle Gran Logge europee non avevano gradito la scelta radicale che io avevo fatto a favore della Massoneria inglese. Pertanto, se avessi voluto anche i loro riconoscimenti, avrei dovuto consentire l’uso dei loro rituali nelle mie Logge, per dimostrare un’equidistanza rispetto alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Il messaggio era chiaro. Mi trovavo di fronte all’alternativa: avere i riconoscimenti europei alla condizione di inquinare il modello inglese o rinunciarvi. Non ho avuto alcun dubbio. Vi ho rinunciato. Questo perché altrimenti avrei dovuto rinnegare quel modello di Massoneria in cui allora credevo con assoluta certezza. Ero consapevole delle difficoltà che avrei incontrato, ma non me ne curavo. La strada era stata tracciata e l’avrei seguita fino in fondo, senza alcuna esitazione. Da questa vicenda si evince chiaramente che le relazioni tra la Gran Loggia Unita d’Inghilterra e le Gran Logge europee non erano (già allora) buone.
Analoga situazione si verificò quando mi si propose di chiedere il riconoscimento alla Conferenza dei Gran Maestri dell’America del Nord. In realtà, quei riconoscimenti a me interessavano poco poiché la Massoneria statunitense ha una visione completamente diversa sia da quella inglese sia da quella europea. In ogni caso, si trattava di una sfida che mi incuriosiva. Così, il 9 febbraio del 1994 scrissi una lettera a Robert Dillard, Segretario della Commissione per i riconoscimenti. Mi rispose con cortese sollecitudine invitandomi a Dallas. L’incontro fu costruttivo. Lo lasciai con la convinzione che i riconoscimenti mi sarebbero stati dati.
Nella Massoneria degli Stati Uniti nulla accade senza il consenso del Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico e Accettato. Era importante, perciò, conoscere anche l’orientamento di Fred Kleinknecht. Lo incontrai a Washington D.C., nella maestosa sede del Rito Scozzese. Si congratulò con me per aver combattuto la corruzione all’interno della Massoneria italiana e mi garantì che i riconoscimenti sarebbero stati tolti al Grande Oriente d’Italia e dati alla Gran Loggia Regolare d’Italia. Sembrava fatta, ma non fu così.
Quando andai alla Conferenza dei Gran Maestri del Nord America, nel febbraio del 1995, trovai un clima a dir poco strano. Sentivo che a monte c’era un problema da risolvere, ma non riuscivo a capire quale fosse. Tutto apparve chiaro il giorno precedente alla Conferenza. Il riconoscimento mi sarebbe stato dato, se avessi consentito la formazione del Rito Scozzese all’interno della Gran Loggia Regolare d’Italia. Il problema era serio. Poiché il Supremo Consiglio d’Italia era ancora incardinato sul Grande Oriente d’Italia, il ritiro dei riconoscimenti a questa Obbedienza avrebbe lasciato il Rito Scozzese sospeso in aria. L’unica collocazione che avrebbe potuto avere sarebbe stata nella Gran Loggia Regolare d’Italia. Solo se lo avessi consentito, avrei potuto avere i riconoscimenti delle Gran Logge statunitensi.
Ma ero disposto ad accogliere il Rito Scozzese nella mia Gran Loggia? Ancora una volta mi trovavo di fronte al rischio d’inquinamento. Accogliere il Rito Scozzese d’Italia avrebbe avuto il significato di aprire le porte a migliaia di massoni del Grande Oriente d’Italia che appartenevano al Rito Scozzese. Fino a quel momento avevo scelto i candidati con la massima attenzione. La decisione di accogliere il Rito Scozzese avrebbe vanificato il lavoro fin lì svolto. Inoltre, i massoni scozzesi non amavano la Massoneria inglese e il suo rituale Emulation. Così la mia risposta fu negativa, consapevole – a quel punto – che i riconoscimenti non mi sarebbero più stati dati. Qualche ora prima che cominciasse la riunione della Commissione per i riconoscimenti il Sommo Sacerdote del Rito di York mi disse che avrebbero votato a favore del mio riconoscimento se mi fossi impegnato ad accogliere il loro Rito nella Gran Loggia Regolare d’Italia. La mia risposta fu ancora negativa. La situazione ormai era chiara. I riconoscimenti sarebbero rimasti al Grande Oriente d’Italia. Così è stato. Per restare fedele al modello inglese di Massoneria avevo perso sia i riconoscimenti delle Gran Logge europee sia quelli delle Gran Logge degli Stati Uniti.
Una situazione analoga si verificò a proposito della crescita numerica della GLRI. La UGLE, in più occasioni, mi fece intendere che si aspettava una crescita numerica più rapida. Avrei potuto farlo, certo, ma a condizione di allargare le maglie dei criteri di ammissione. Ero riluttante a farlo, perché sapevo che attraverso quelle maglie erano già passati candidati che non avevano i requisiti richiesti. Tuttavia, ero disponibile a prendere in considerazione eventuali possibilità di crescita quantitativa.
Dopo la fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia Bruno Castellani, primo Presidente del Consiglio delle Proposte Generali, sollecita un mio incontro con Fausto Bruni, Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese, che era succeduto a Vittorio Colao. Questo Rito, pur contando un certo numero di adepti, stava attraversando un periodo di crisi. Dopo la scissione del Supremo Consiglio, il Rito di Cecovini era stato riconosciuto dalla Giurisdizione Sud degli Stati Uniti e dal Grande Oriente d’Italia. Ciò ne aveva permesso l’incardinamento sul Grande Oriente d’Italia.
Il Rito Scozzese di Fausto Bruni non aveva avuto questa possibilità. Quando non esiste un Ordine su cui incardinare il Rito, è consuetudine creare un Ordine all’interno dello stesso Rito. In tal caso, il Sovrano è anche Gran Maestro. Era un espediente che, tutto sommato, funzionava. Tuttavia, poneva forti limiti soprattutto nei rapporti internazionali. Bruni cercava il modo per uscire dalla situazione angusta e difficile in cui si trovava. Anche la Gran Loggia Regolare d’Italia aveva un problema da risolvere, che riguardava la sua crescita quantitativa. Il rigido criterio selettivo dei candidati ne rallentava lo sviluppo. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, al contrario, lo sollecitava. Accettai, così, la proposta di incontrare Fausto Bruni. La prima impressione fu positiva. Bruni e i suoi più fidati collaboratori erano sinceramente convinti di entrare nella Gran Loggia Regolare d’Italia, e volevano esaminare con me le condizioni per farlo. Esistevano, però, difficoltà che mi sembravano insuperabili.
Anche se avevo accettato l’incontro con Bruni per accontentare Castellani, cominciai a riflettervi. Le difficoltà erano evidenti. Bruni era il capo di un Rito. Già nella fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia avevo dichiarato che mai nessun Rito vi sarebbe entrato. Per mantenere questo impegno avevo rinunciato al riconoscimento delle Gran Logge del Nord America. Conoscevo troppo bene il Rito Scozzese per non temerne gli inquinamenti. Da un punto di vista umano e strategico vedevo la proposta con favore, ma non riuscivo a immaginare come realizzarla. Nel secondo incontro, dissi con chiarezza a Bruni che non avrei consentito al suo Rito di incardinarsi sulla Gran Loggia Regolare d’Italia. Pensavo che, dopo questa mia dichiarazione, tutto fosse finito, ma non fu così. Castellani e il luogotenente di Bruni volevano comunque fare l’accordo e proposero compromessi che rifiutai. Alla fine, escogitai la soluzione, la proposi e fu accolta. Tutti i membri del Rito (Bruni incluso) sarebbero entrati nella Gran Loggia Regolare d’Italia come Maestri e si sarebbero messi alla mia obbedienza. Avrebbero potuto avere il Rito Scozzese ma all’esterno della Gran Loggia Regolare d’Italia. In tal modo non vi sarebbero state interferenze. La mia proposta si basava sulla situazione esistente in Inghilterra, dove il Rito Scozzese (detto Rose Croix) era indipendente dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra, per cui il Gran Maestro non doveva riconoscerlo per autorizzare i suoi Maestri a farne parte.
Informai dell’accordo raggiunto la Gran Loggia Unita d’Inghilterra che espresse compiacimento perché aveva tentato di far entrare l’Obbedienza di Bruni nel Grande Oriente d’Italia (quando lo riconosceva) senza però riuscirvi.
Sulla base di questa intesa comincia la procedura per l’ammissione dell’Obbedienza di Bruni. Una solenne cerimonia a Cosenza la formalizza e si formano Logge in diverse regioni d’Italia. L’unificazione, tuttavia, ha breve durata poiché, a dispetto dell’Accordo firmato da Fausto Bruni e da me che lo escludeva, si comincia a richiedere l’introduzione del Rito Scozzese Antico e Accettato nella GLRI. Ma come non avevo accettato il Rito Scozzese del GOI, così non ho accettato il loro Rito, rifiutandomi di porre nuovamente in discussione gli accordi già presi. Ho sempre agito ispirandomi al principio di coerenza, anche se mi ha portato amare sconfitte.
Il Rito Scozzese Antico e Accettato è espressione del periodo più felice della mia vita massonica. Nel 1965, alcuni anni dopo la mia elevazione al Grado di Maestro nella Loggia “Risorgimento-8 Agosto”, Carlo Manelli, che allora era Ispettore Generale del Rito in Emilia-Romagna e membro del Supremo Consiglio, mi fece entrare nel Rito Scozzese. La mia progressione nei Gradi fu lenta ma continua.
Il Rito Scozzese d’Italia era rimasto unito sotto il governo di Giovanni Pica (1967-1976) ma, dopo l’elezione a suo successore di Vittorio Colao (1976-1978) si verificò una contrapposizione di due fazioni all’interno del Supremo Consiglio. Il motivo riguardava la decisione di accettare Lino Salvini, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, nel Supremo Consiglio. Da una parte vi era Colao che era contrario, dall’altra Manlio Cecovini e Giordano Gamberini che erano, invece, favorevoli. Tra il maggio e il giugno del 1977 si addivenne a una reciproca espulsione incrociata e alla formazione di due Supremi Consigli rivali: uno di Colao e l’altro di Cecovini (che comprendeva Salvini e Gamberini). Il Grande Oriente d’Italia riconobbe la legittimità di Cecovini. Così fece anche il Supremo Consiglio della Giurisdizione Sud degli Stati Uniti di Washington D.C., ritenuto Supremo Consiglio “madre del mondo”.
Dopo la pubblicazione del mio libro, su proposta di Francesco Spina, che intanto era succeduto a Carlo Manelli come Ispettore Generale dell’Emilia-Romagna, sono stato elevato al Grado 33°.
Quando conobbi Manlio Cecovini compresi subito di trovarmi di fronte al Maestro. La sua conoscenza della Massoneria, l’autorità che emanava, il rigore nel governo del Rito e la sua umiltà, facevano di lui il riferimento ideale della mia vita massonica.
Manlio mi invitava spesso a Trieste dove viveva. Dopo alcune ore di piacevole e dotta conversazione finivamo in una trattoria per gustare piatti di buon pesce. Fu in uno di questi incontri che mi diede copia della “Dichiarazione su Massoneria e religione”, emanata dalla Gran Loggia d’Inghilterra. Sapeva che stavo scrivendo Filosofia della Massoneria e richiamò la mia attenzione su quel documento. Tornato a Trento lo lessi con attenzione, e compresi che sarebbe diventato un caposaldo della mia indagine sul pensiero massonico.
Dopo la pubblicazione del libro, nel 1987, Manlio mi propose di svolgere la stessa indagine filosofica anche sul Rito Scozzese. Accettai la sua proposta e mi procurai il volume Morals and Dogma di Albert Pike, considerato la “Bibbia” del Rito Scozzese. Dedicai l’estate del 1988 alla lettura di quest’opera. Pike aveva dato un significato ai Gradi del Rito (dal 4° al 33°) attingendo anche alla storia della filosofia. Tuttavia, le sue citazioni erano infondate o prive di senso. Parlava di filosofia ma in realtà non la conosceva. Il più delle volte inventava. D’altra parte, il documento ufficiale su cui si fondava il Rito Scozzese era proprio il suo libro… Qualsiasi indagine filosofica non avrebbe potuto prescinderne. Pervenni alla conclusione che, per mancanza di documenti ben fondati, non avrebbe avuto senso svolgere un’indagine filosofica sul pensiero del Rito Scozzese. Ne parlai con Cecovini e lui ne convenne.
Dopo pochi incontri, Manlio decise che io sarei dovuto entrare nel Supremo Consiglio, non solo per svecchiarlo, ma anche per portarlo a un superiore livello di cultura. In prospettiva, avrei dovuto esserne il Sovrano. I Regolamenti Generali del Rito stabiliscono che il Supremo Consiglio deve essere costituito da non più di 33 membri con il 33° Grado. A quel tempo erano vacanti sette posti. Cecovini propose la mia candidatura ai ventisei membri chiedendo il loro appoggio. Qualche tempo dopo mi comunicò che ero stato eletto Membro Effettivo del Supremo Consiglio. Per festeggiare mi invitò a Trieste. Durante il tradizionale pranzo in trattoria mi confidò come si erano svolti i fatti. La proposta che mi riguardava aveva avuta all’inizio una forte opposizione a causa della mia giovane età. In un certo senso avevano ragione. La differenza d’età tra me e il più giovane membro del Supremo Consiglio era di almeno di venti anni! Cecovini, tuttavia, comprese che la vera ragione dell’opposizione era un’altra: sarebbero stati disposti a sostenermi se Manlio avesse accettato i loro candidati. Ricordo il suo commento: “per avere te ho dovuto permettere l’ammissione di persone modeste, che non daranno nulla al Rito. Parigi vale una messa”. In tal modo, a soli 49 anni, sono entrato nel Supremo Consiglio d’Italia.
Manlio Cecovini, che era per me mentore e Maestro, richiamò la mia attenzione su due princìpi fondamentali del Rito Scozzese: 1) il Rito Scozzese è l’università della Massoneria e 2) il Rito Scozzese è il guardiano dell’Ordine. Il primo Principio stabilisce che il perfezionamento del massone non finisce con il grado di Maestro, ma continua secondo l’ascendenza agli Alti Gradi. Dal punto di vista del Rito Scozzese, la levigatura della “pietra grezza” è completa quando il massone raggiunge il 33° grado. In tal senso, il Rito Scozzese è l’università della Massoneria. Con il secondo Principio si vuole significare che il Rito Scozzese non è indifferente all’Ordine, ma ne è il guardiano. Tale ruolo si esplica verificando non solo la conformità delle delibere adottate dal Gran Maestro e dalla Giunta con le Costituzioni e i Regolamenti Generali, ma anche e soprattutto le condizioni di armonia e di fratellanza che devono sempre intercorrere all’interno della Comunione. Le relazioni tra l’Ordine e il Rito Scozzese sono regolate da un Concordato mediante cui l’Ordine riconosce il Rito, permettendo la cooptazione dei suoi Maestri nello stesso. Dopo essere stato riconosciuto dall’Ordine, il Rito Scozzese diventa un organismo sovrano e indipendente. Se ottiene anche il riconoscimento del Supremo Consiglio della Giurisdizione Sud degli Stati Uniti di Washington D.C., allora entrerà a far parte della Federazione dei Supremi Consigli e potrà godere del privilegio di essere tutelato e difeso da tutti gli attacchi che potrebbero provenire sia dal mondo massonico sia da quello profano.
Ancora una volta il paradosso della Massoneria inglese appare, ma questa volta riguarda le mie scelte. La decisione di introdurre in Italia il modello completo (anche il rituale Emulation) della Gran Unita d’Inghilterra significava per me mantenerne la purezza. Volevo sempre essere in grado di dire, ai vertici inglesi, che la GLRI non aveva al suo interno degenerazioni di alcun genere. Pensavo che le mie scelte per mantenerla pura sarebbero state condivise ed elogiate. Mi illudevo. Invece di ricevere elogi mi si accusava di non essere in grado di ottenere altri riconoscimenti internazionali e di aumentare il numero degli affiliati. Compresi allora che, per continuare ad avere la fiducia della Massoneria inglese, avrei fatto bene ad accettare il consiglio di Yves Trestournel ed ottenere i riconoscimenti delle Massonerie europee. Avrei fatto bene anche ad ammettere nella GLRI il Rito Scozzese del GOI e quello di Fausto Bruni. Avrei dovuto fare il contrario di quel che avevo fatto. Che senso avrebbe avuto? Ancora una volta mi ritrovavo tra l’incudine e il martello. Cominciavo a rendermi conto di aver intrapreso una strada che mi avrebbe procurato delusione e sconfitte. Mi ritrovavo nel mezzo di una situazione paradossale: quella che il filosofo Leibniz avrebbe definito un “caso perplesso”. L’unico modo per uscirne sarebbe stato il mio ritiro definitivo e irrevocabile dalla Massoneria. Così è stato.
Se avevo deluso le aspettative dei vertici massonici inglesi circa la crescita quantitativa della GLRI, il mio successore, il dott. Fabio Venzi, non ha fatto ciò che era necessario per dar loro soddisfazione. Da quel che si evince dai Bilanci della GLRI, nei 22 anni della sua Gran Maestranza sono entrati circa 11.000 profani e ne sono usciti circa 9.000 massoni.
Nella “Lettera” che i fratelli sardi gli hanno recentemente inviato si chiede di sapere le ragioni di tali abbandoni. Questa domanda e tante altre non hanno avuto risposta, in compenso hanno determinato la loro espulsione per delitto di “lesa maestà”.
È una questione interna alla GLRI, che poco interessa alla UGLE, la quale può solo constatare che, tra espulsioni e dimissioni, il numero degli affiliati continua a diminuire drasticamente.
Paradossalmente Fabio Venzi, invece di tenersi stretti i pochi fratelli rimasti, li espelle, favorendo l’estinzione della GLRI tanto attesa da Stefano Bisi che vedrebbe così risolto il problema della condivisione del territorio nazionale. In queste condizioni può la GLRI rappresentare la Gran Loggia Unita d’Inghilterra nel nostro paese? A voi la semplice e banale risposta.
Tutte le vicende fin qui descritte ruotano intorno al concetto di “regolarità”. Cercherò di chiarirlo.
Le origini della Massoneria moderna risalgono al 24 giugno 1717, quando quattro Logge di Londra decidono di formare una Gran Loggia il cui scopo è quello di controllare le singole Logge, verificando la loro regolarità. La regolarità è qui intesa come conformità a un insieme di regole. Tali regole saranno date dalle Costituzioni di Anderson. Con queste Costituzioni si regola il rapporto tra le Logge e la Gran Loggia. Con l’espandersi della Massoneria nei paesi dell’impero britannico e in Europa nasce l’esigenza di stabilire i rapporti tra la Gran Loggia di Londra e le altre Gran Logge. A tale riguardo vengono formulati i requisiti che una Gran Loggia deve avere per ottenere il riconoscimento della Massoneria inglese. Nel 1929 la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, la Gran Loggia di Scozia e la Gran Loggia di Irlanda definiscono formalmente i requisiti che una Gran Loggia deve possedere per avere il loro riconoscimento, che corrisponde a una patente di regolarità. Tra questi requisiti vi è quello della “esclusività territoriale”, secondo cui il riconoscimento può essere dato a una sola Obbedienza in un dato territorio.
Se applichiamo queste regole alla Massoneria italiana troviamo che titolare del riconoscimento inglese è stato il Grande Oriente d’Italia, che l’aveva ottenuto nel 1972, esattamente 110 anni dopo che Costantino Nigra, Gran Maestro per pochi mesi, ne aveva fatto richiesta. Quando ho fondato la Gran Loggia Regolare d’Italia, nel 1993, la UGLE, per riconoscerla, ha dovuto togliere il riconoscimento al GOI. In questa prospettiva il primo risultato si ottenne l’8 settembre dello stesso anno, quando la UGLE ritirò il riconoscimento al GOI. Con questo atto l’Italia era diventata un territorio massonicamente libero, ed io avrei potuto far richiesta del riconoscimento inglese. Ciò avvenne il 4 ottobre del 1993. Nella Comunicazione Trimestrale dell’8 dicembre 1993 la Gran Loggia Unita d’Inghilterra concesse il proprio riconoscimento alla Gran Loggia Regolare d’Italia, assegnandole così una patente di legittimità e di regolarità della massima importanza. Da quel momento la vera e pura Massoneria inglese era rappresentata in Italia dalla Gran Loggia Regolare, la quale entrava a far parte del novero delle Massonerie regolari (riconosciute dalla UGLE) del mondo.
La Massoneria d’oltre Manica, fin dalle sue origini settecentesche, ha regolato i rapporti con tutte le altre Massonerie applicando rigidamente la regola della “esclusività territoriale”. Questo stato di cose fu messo in crisi dal “Discorso” che Lord Northampton, Pro-Gran Maestro della UGLE, fece al Meeting dei Gran Maestri europei il 5 e il 6 novembre 2007. In quell’occasione egli sostenne la necessita di modificare la regola dell’esclusività di territorio, sostituendola con un’altra che avrebbe consentito alla UGLE di riconoscere, nello stesso territorio, due o più Obbedienze, a condizione che esse si riconoscessero reciprocamente.
Questo è stato, a mio avviso, l’inizio della fine della Massoneria inglese e della Massoneria in generale.
Per giustificare questa mia affermazione consideriamo il caso italiano, che può essere sia paradigmatico sia generalizzato. Quando la UGLE tolse il riconoscimento al GOI e lo conferì alla GLRI fu fatta un’operazione che non dava adito a conflitti di alcun genere. Il riconoscimento ridato al GOI l’8 marzo di quest’anno, viceversa, ha scatenato una serie di eventi negativi che potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza di queste due Obbedienze. Cerchiamo di capirne le ragioni principali.
Come si evince dall’Agenda della Comunicazione Trimestrale dell’8 marzo, la UGLE dichiara: “La Gran Loggia ha ritirato il riconoscimento del Grande Oriente d’Italia nel 1993, poiché a suo parere il Grande Oriente non soddisfaceva più quei Principi fondamentali … Il Grande Oriente ha richiesto il ripristino del riconoscimento. Il Consiglio ha esaminato la situazione e ha concluso che il Grande Oriente ora soddisfa nuovamente i Principi fondamentali per il riconoscimento delle Gran Logge … Il Grande Oriente accetta l’attuale prassi della Gran Loggia di non riconoscere una seconda Gran Loggia in un territorio senza il consenso e l’accordo di entrambe le Gran Logge interessate e ha già indicato che, se il riconoscimento verrà ripristinato, acconsentirà e concorderà con questa Gran Loggia il continuo riconoscimento della Gran Loggia Regolare d’Italia. La Gran Loggia Regolare d’Italia ha dato un analogo accordo nei confronti del Grande Oriente d’Italia”.
Questa è la “Tavola della legge”, che pone condizioni ineludibili per il riconoscimento del Grande Oriente d’Italia. Il GOI e la GLRI hanno l’obbligo di attenervisi scrupolosamente, pena le sanzioni della UGLE. Ma poiché i rispettivi Gran Maestri fanno, su tali punti, affermazioni propagandistiche, ne spiegherò il significato.
Con la prima dichiarazione la UGLE ribadisce che nel 1993 ha ritirato il riconoscimento poiché il GOI non soddisfaceva più i Principi fondamentali. Diversamente dalla UGLE, Stefano Bisi sostiene che la UGLE ha preso atto del suo errore del 1993 e vi ha riparato, dando nuovamente il riconoscimento al GOI. Niente di più falso! È solo propaganda per non dover ammettere che la UGLE nel ‘93 ha condiviso le ragioni di Giuliano Di Bernardo. Bisi non si rende conto che, accettando il riconoscimento, dà ragione a Di Bernardo. Come pensa di uscire da questa contraddizione? Non certo come ha fatto! Affermare che la UGLE all’epoca si sbagliò finisce per far torto agli inglesi e – cosa ben più grave – fa torto al testo scritto, che – come evidenziato – attesta tutt’altra verità.
Dalla seconda dichiarazione, poi, si evince che il GOI ha richiesto il ripristino del riconoscimento. Anche qui Stefano Bisi non dice il vero quando sostiene che la UGLE, di sua propria iniziativa, ha ridato il riconoscimento.
Dalla terza dichiarazione, ancora, emerge che il GOI ha concordato con la UGLE il riconoscimento continuo della GLRI. Bisi, perciò non può sostenere che non riconoscerà la GLRI né può pensare di riconoscerla e poi toglierle il riconoscimento. Il suo riconoscimento deve essere definitivo e continuativo. Bisi non può riconoscere la GLRI e poi vietare ad alcuni suoi membri (quelli del ‘93) di frequentare le sue Logge. È come se la UGLE, dopo aver riconosciuto il GOI, vietasse ad alcuni suoi massoni di frequentare le sue Logge. Il riconoscimento della GLRI è un provvedimento generale che vale per tutti i massoni alla sua obbedienza. Se Bisi lo facesse sarebbe imputabile di abuso della sua autorità, un abuso che sarebbe certamente sanzionato dalla UGLE.
Eppure, in occasione delle comunicazioni telematiche del 13 marzo 2023, rivolte direttamente ai Fratelli Maestri della Comunione, Bisi ha testualmente affermato: «Non sono rientrati da quando sono Gran Maestro coloro che hanno partecipato attivamente alla scissione del 1993. E non rientreranno… Non c’è la possibilità per un membro della cosiddetta Gran Loggia Regolare d’Italia di partecipare alle tornate delle logge del Grande Oriente d’Italia, così come non è consentito a fratelli del Grande Oriente d’Italia di partecipare a tornate della cosiddetta Gran Loggia Regolare d’Italia».
Bisi non ha ancora compreso, eppure son passati nove anni dalla sua elezione, che il Gran Maestro ha il dovere di agire nel rispetto dei Regolamenti e degli accordi presi. Soprattutto se tali accordi riguardano la UGLE, e anche se essi non prevedono l’esclusione dai Lavori di Loggia dei “fratelli del ’93”. Anche in questa occasione egli decide ed opera secondo la sua personale visione, che però non è quella che risulta dal testo dell’intesa.
Dalla quarta dichiarazione, infine, si evince che ora la UGLE ritiene che il GOI sia tornato a soddisfare i requisiti per riavere il suo riconoscimento. Su questo punto si apre un mondo da esplorare…
Come ho messo in evidenza nelle pagine precedenti, la UGLE ha cominciato a pensare di ridare il riconoscimento al GOI già al tempo in cui ero ancora Gran Maestro. Per ottenerlo ci sono voluti tanti anni e la modifica della regola dell’esclusività territoriale. Nel frattempo, ne aveva preparato le condizioni. Sembrava tutto pronto nel 2017, ma l’indagine della Commissione Antimafia presieduta dall’on. Rosy Bindi sul GOI e la GLRI ha bloccato qualsiasi iniziativa, rinviando la faccenda a tempi migliori.
All’inizio dell’anno corrente si è cominciato a riparlarne e a vociferare che il nuovo riconoscimento sarebbe avvenuto in occasione della Comunicazione Trimestrale di marzo. Da parte del GOI e della GLRI vi è stato un silenzio assordante, come se la cosa non li riguardasse. All’improvviso esplode, con il fragore di un cannone, la notizia dell’arresto del capo mafia Matteo Messina Denaro, latitante da oltre trent’anni. Il fatto in sé è una semplice operazione di polizia che ottiene il plauso di tutti. Tuttavia, comincia a circolare la notizia che la latitanza del capo mafia sia stata favorita anche da un medico, il dottor Alfonso Tumbarello, membro della Loggia “Valle di Cusa-Giovanni Di Gangi” n. 1035 all’Oriente di Campobello di Mazara, del Grande Oriente d’Italia. Si scatena il finimondo. I mezzi di comunicazione di massa si precipitano sul paesello del trapanese dove si trova la Loggia del GOI. Tumbarello viene presto arrestato con l’accusa di “concorso esterno in associazione mafiosa e falso”, il Tribunale del Riesame convalida, e il resto è storia quotidiana.
Che cosa si evince da questa storia? Innanzitutto, l’infiltrazione della mafia in alcune Logge del Grande Oriente d’Italia. Di queste infiltrazioni nel trapanese si parla da circa mezzo secolo. Quindi, davvero, nulla di nuovo.
Quando nel 1990 fui eletto Gran Maestro del GOI, durante una mia visita alla Circoscrizione della Sicilia a Palermo, il massone più autorevole dell’isola, l’avvocato Massimo Maggiore, da me nominato Presidente della Corte Centrale, mi scongiurò di non accettare l’invito di visitare le Logge di Campobello di Mazara, poiché erano infiltrate dalla mafia. Il messaggio era stato chiaro ed io ne feci tesoro. L’arresto di Tumbarello è stato per me la conferma di quanto mi era stato confidato, all’epoca, dai vertici siciliani.
La reazione del Gran Maestro Bisi è stata la sospensione a tempo indeterminato di Alfonso Tumbarello, in attesa della sentenza definitiva. Il provvedimento della sospensione può sembrare un atto di tutela dell’imputato. In generale è così, ma non può valere per la Massoneria. Chi volesse introdurre questo principio di tutela nella Massoneria dimostrerebbe di non sapere che la Massoneria è un sistema di principi morali universali che ogni massone deve assumere come ragione della sua condotta pratica. Le azioni del massone devono essere sempre dalla morale! Da ciò segue che Tumbarello, se è tutelato sul piano giuridico, non può esserlo sul piano morale. Moralmente egli ha violato i principi che ha giurato di rispettare. È questo il punto centrale che Bisi dimostra di non aver compreso. Applicando i principi della morale Tumbarello avrebbe dovuto essere espulso, perché il favoreggiamento di Matteo Messina Denaro, uno dei più efferati criminali al mondo, lo rende indegno di appartenere alla più nobile e antica società di uomini che stimano l’onore come una delle più alte virtù. Bisi non ha capito, o non vuole capire, che se non espelle Tumbarello (e per farlo il Grande Oratore deve instaurare un regolare processo massonico tramite Tavola d’Accusa), non potrà mai espellere nessun altro i cui crimini non siano minimamente confrontabili con quelli di questo medico del capo mafia!
Ma Bisi ignora la questione morale e si barrica dietro la tutela soggettiva dell’imputato, che è stato tradotto in carcere con l’accusa di connessioni con la mafia, le quali non lasciano adito al minimo dubbio (sarebbe stato – la notizia è di queste ore – addirittura una fonte dei servizi segreti!).
Anche mettendo da parte la questione morale, che Bisi non sembra capire, è mai possibile che la gravità della posizione di Tumbarello rispetto alla legge non sia già essa motivo sufficiente per l’espulsione? Non sembra che il minimo sia almeno di predisporre, contro di lui, quella Tavola d’Accusa capace di avviarne l’espulsione? Esiste un articolo in proposito, rubricato al n. 187 del Regolamento dell’Ordine. Esso si compone di tre commi molto chiari. È possibile che nessuno lo conosca? È possibile che volutamente lo si ignori?
La sanzione della sospensione a tempo indeterminato produce la conseguenza che Tumbarello è ancora un membro effettivo del GOI (ex art. 7 della Costituzione dell’Ordine). Questo stato di cose, massonicamente assurdo, fa emergere una domanda: per quale ragione Tumbarello non è stato – se non già espulso – almeno sottoposto a processo massonico tramite Tavola d’Accusa (unico atto capace di portarlo al suo definitivo allontanamento dall’Ordine)? La risposta ci porta a indagare la Loggia “Valle di Cusa-Giovanni Di Gangi” di cui Bisi è membro onorario.
Questa Loggia di Campobello di Mazara, oltre all’infiltrazione della mafia, presenta infatti un’altra peculiarità: il Gran Maestro Stefano Bisi ne è membro onorario.
Nel tempo in cui sono stato Gran Maestro del GOI non era neanche pensabile che il Gran Maestro potesse divenire membro onorario di una Loggia alla sua obbedienza peraltro nel corso della sua Gran Maestranza, almeno per un motivo di equità nelle relazioni con le altre Logge. Perché il Gran Maestro avrebbe dovuto privilegiare alcune Logge a scapito di altre? Sono passati trent’anni ed è possibile che le cose siano cambiate, per carità… Alla domanda su questo argomento, da parte del giornalista Pipitone del Fatto Quotidiano, Stefano Bisi ha però glissato, dicendo che è normale che il Gran Maestro sia membro onorario delle Logge. La risposta data al giornalista a me non quadra e non basta. A me Bisi deve dire quante e quali Logge lo hanno accolto come membro onorario in questi ultimi nove anni, cioè da quando è Gran Maestro del GOI (sono due, tre, dieci, venti? E in quali Regioni?). In caso contrario sarei indotto a pensare che egli abbia avuto una ragione del tutto speciale per… far parte della Loggia di Alfonso Tumbarello!
Quando è deflagrato il caso Tumbarello i mezzi di comunicazione di massa mi hanno intervistato per conoscere la mia opinione al riguardo. Il ritornello che ho ripetuto è stato: «Trenta anni fa mi fu consigliato dai vertici siciliani di non frequentare le Logge di Campobello di Mazara in quanto infiltrate dalla mafia; oggi apprendo che una di quelle Logge è infiltrata; concludo dicendo che chi è venuto dopo di me nel governo del GOI non le ha ripulite». La mia dichiarazione è composta da un fatto storico e da una constatazione attuale.
Qual è stata la reazione del Gran Maestro Stefano Bisi? Mi ha denunciato al Tribunale di Roma e mi ha chiesto il risarcimento dei danni materiali e morali. Non ha saputo resistere alla tentazione di denunciarmi, e ha avviato un processo che gli si ritorcerà contro. Non ha avuto la saggezza di seguire l’adagio: “lascia stare il can che dorme”. Mi ha voluto risvegliare e ne subirà le conseguenze.
Per difendermi, dovrò attaccarlo. Gli faccio un’anticipazione: la Loggia “Arnaldo da Brescia” n. 959 di Licata. Il suo Maestro Venerabile, Vito Lauria, è stato condannato nel luglio scorso dalla Terza sezione della Corte d’Appello di Palermo a otto anni di reclusione per rapporti con la mafia (insieme a Lucio Lutri, già Maestro Venerabile della Loggia “Pensiero e Azione” n. 1498 di Palermo). Fin da allora avrei potuto riprendere il discorso del 2017, e accusare il GOI di infiltrazione della mafia, ma ho preferito il silenzio per rispetto ai tanti fratelli siciliani onesti.
Tornando a Lauria, mi pare che – con la condanna – la tutela dell’imputato invocata da Stefano Bisi sia finita, o no? Per cui gli chiedo se questi abbia mai ricevuto una Tavola d’Accusa da parte del Grande Oratore, a motivo dell’evidente condotta antimassonica posta in essere tradendo gli ideali dell’Istituzione (art. 15 Cost. comma b), e se sia stato conseguentemente espulso dal Grande Oriente d’Italia attraverso il decreto di condanna.
A me non risulta. Se mi sbaglio, aspetto di essere smentito. Se non dovesse essere ancora stato espulso chiederei al Gran Maestro Bisi: «Cos’altro deve accadere per espellere Vito Lauria?».
Tutto lascia supporre che anche Alfonso Tumbarello godrà degli stessi privilegi concessi a Vito Lauria. È possibile che il Gran Maestro e la Giunta non si rendano conto che, così facendo, alimentano i dubbi circa le ragioni di questi loro comportamenti? E i fratelli del GOI che fanno? Nulla, come se la cosa non li riguardasse. Il loro silenzio e l’omertà contribuiranno a sgretolare le fondamenta della loro Obbedienza.
Bisi ha voluto la guerra e guerra avrà. Neanche immagina quanti autorevoli fratelli del GOI mi sostengono con parole e documenti, chiedendomi in questi tempi drammatici di riprendere il governo del GOI. Non immagina che la denuncia che mi ha fatto pervenire sarà il palcoscenico sul quale reciterò da attore protagonista.
Il caso Tumbarello ha richiamato l’attenzione sul Grande Oriente d’Italia, che è stato messo sotto i riflettori dai media, dai magistrati antimafia, dai politici e dagli intellettuali. Tutto ciò che, fino a quel momento, era stato tenuto sotto il tappeto, all’improvviso si è manifestato. Si scopre, così, che il governo di Bisi e della sua Giunta sono sotto attacco anche per l’uso personale della giustizia massonica. Il caso del professor Claudio Bonvecchio, Gran Maestro Aggiunto, espulso per una ragione infinitamente irrilevante se confrontata con quella di Tumbarello, che è stato solo sospeso, è esemplare dell’attuale situazione, che apre ad uno scenario in cui la gestione dispotica e personale del potere, in violazione delle Costituzioni del GOI, è diventata la norma.
Tutto il GOI, da Nord a Sud, da Est a Ovest, è percosso da atti di iniquità. Mai la più potente Obbedienza del nostro paese si è trovata in una situazione di conflittualità e di anarchia come quella che ha preceduto il riconoscimento della UGLE.
Eppure, in una situazione come questa, che avrebbe suggerito la massima prudenza, la UGLE annuncia di voler riconoscere il GOI. Stranamente i vertici del GOI e della GLRI tacciono, segno che c’è qualcosa che turba il loro sonno. Mentre in tanti si chiedono quali ragioni possano aver indotto la UGLE a riconoscere il GOI, la UGLE va avanti imperturbabile: annuncia che il riconoscimento sarà ridato – come è stato fatto – nella Comunicazione Trimestrale dell’8 marzo 2023 e fa circolare la sua Agenda dei lavori. Il fatto è compiuto. Il GOI ha riavuto il riconoscimento con tutte le condizioni dichiarate nell’Agenda.
Ritornando all’esercizio dell’autorità, sembrerebbe, tuttavia, che il Gran Maestro e la Giunta del GOI abbiano violato le Costituzioni per quanto riguarda il riconoscimento della UGLE. Infatti, la Costituzione vigente nel GOI prevede e impone che i riconoscimenti siano sostenuti dal principio reciproco di sovranità e di esclusività nei rispettivi territori nazionali. Questo principio non può essere derogato da alcuno e neppure dal Gran Maestro e dalla Giunta. Solo la Gran Loggia ha l’autorità di decidere se modificare l’art. 2 della Costituzione dell’Ordine, per rinunciare ai fondamentali e tassativi Principi di sovranità e di esclusività territoriale. Fintanto che questo non avviene, il Gran Maestro e la Giunta si trovano nella condizione di violazione delle Costituzione. In conclusione, è la Gran Loggia e non il Gran Maestro e la Giunta che deve decidere se accettare il riconoscimento inglese e, di conseguenza, modificare le Costituzioni. Fino ad allora il riconoscimento rimane una possibilità. Lo stesso discorso vale per la Gran Loggia Regolare d’Italia, la quale dovrà modificare le Costituzioni per riconoscere il Grande Oriente d’Italia.
Queste considerazioni si pongono sul piano del diritto e riguardano le condizioni di adempimento delle Costituzioni. Gli stessi problemi, tuttavia, si possono risolvere anche sul piano della realtà. Vediamo come ciò potrebbe avvenire. La condivisione dello stesso territorio crea difficoltà a entrambe le Obbedienze coinvolte. Stefano Bisi, a prescindere dalle sue dichiarazioni propagandistiche, sa che gli impegni assunti con Londra devono essere mantenuti. Dovrà riconoscere la GLRI e modificare le Costituzioni, a meno che la GLRI non cessi di esistere. In tal caso, si risolverebbero tutti i suoi problemi. È per raggiungere questo scopo che egli ha dato l’ordine ai suoi affiliati di fare tutto il possibile per favorire la trasmigrazione dei fratelli della GLRI nel GOI. Ottima strategia, che però si scontra col divieto di ammettere i “congiurati” del ’93. In ogni caso l’operazione è in corso e sta dando lusinghieri successi! In ciò è aiutato dalla furia di Venzi, che continua ad espellere tutti gli oppositori. Quanto tempo richiederà questa operazione “acquisti”? Cosa succederebbe, però, se Venzi fosse costretto al ritiro? Può darsi che il suo successore ridia vita e vigore alla GLRI, richiamando le migliaia di fratelli espulsi da Venzi e attirando i fratelli del GOI che non riescono più a convivere con Bisi. Questa ipotesi di rinascita della GLRI dovrebbero capirla i suoi membri e agire per realizzarla. Dovrebbero unirsi ai sardi e costringere Venzi al ritiro. Non sanno che, restando sulla riva del fiume in attesa che passi il cadavere di Venzi (in senso metaforico), rischiano che la GLRI si spenga come una candela? Un loro rigurgito di orgoglio potrebbe salvare la loro Gran Loggia.
Il riconoscimento del GOI da parte della UGLE ha scatenato una guerra massonica che produrrà conseguenze nefaste nella Massoneria italiana. È la prima volta che l’ambìto riconoscimento inglese non è accompagnato da giubilo e orgoglio. Tutti i fratelli della neonata GLRI, quando appresero la notizia del riconoscimento, esplosero in canti e inni, consapevoli del privilegio che avevano ricevuto. Questa volta è diverso. Non solo i vertici del GOI e della GLRI sono rimasti nel silenzio, ma all’interno delle due Obbedienze hanno cominciato a serpeggiare malumori e attacchi ai vertici. Quando c’è stato l’annuncio dell’8 marzo, come data del riconoscimento, se ne è parlato come dell’accadimento di un evento funesto, desiderato ma temuto per le possibili gravi conseguenze. Da quando esso si è verificato Stefano Bisi non ha fatto altro che giustificarsi, annunciando provvedimenti sanzionatori nei confronti della GLRI, che non potrà mai mettere in atto, pena il ritiro del riconoscimento appena ricevuto. I reciproci riconoscimenti tra le due Obbedienze devono ancora verificarsi, ma le polemiche non accennano a spegnersi.
A rendere più febbrile questo stato di cose è la notizia, trapelata da fonti ben informate dei vertici inglesi, che la UGLE si appresta a riconoscere in Italia un’altra Obbedienza… In tal caso, sul territorio italiano avrebbero la sovranità non due ma tre Obbedienze. Se già le relazioni tra GOI e GLRI faticano a instaurarsi, quale situazione potrebbe mai verificarsi quando entrerà in gioco un’altra Obbedienza? Sempre da fonti inglesi, ben informate, si apprende che il progetto della UGLE è quello di riconoscere sul territorio italiano altre Obbedienze, con lo scopo (sentite, sentite), di riunificarle tutte. È pura follia!
L’unico risultato che si otterrebbe sarebbe l’edificazione in Italia di una Torre di Babele delle Massonerie, dove tutti parlano e nessuno comprende. Si pensi, come esempio, alle Cerimonie nel Tempio con l’uso di rituali diversi e contrastanti. Già tra il rituale del GOI e il rituale Emulation della GLRI esiste una differenza abissale. Se ne vengono aggiunti altri, lo stato di caos diventerà universale.
Anche su questo punto la UGLE mi sorprende e mi delude. È mai possibile che essa chiuda gli occhi sulla storia delle Obbedienze italiane, le quali, dal dopoguerra ai nostri giorni, sono state caratterizzate alternativamente da scissioni e da unioni? Come può semplicemente pensare che essa riesca dove ha sistematicamente fallito la Massoneria degli Stati Uniti? Io penso che lo sappia ma faccia finta di non saperlo. Allora, mi chiedo quale ne è la ragione. Perché la UGLE, dopo trecento anni, mostra un volto nuovo, non solo diverso rispetto al passato, ma anche autodistruttivo? Qual è il tarlo che la sta divorando?
Sono state formulate diverse ipotesi al riguardo. La più probabile potrebbe essere quella della “sopravvivenza”. Tutte le Massonerie del mondo, a cominciare da quella degli Stati Uniti, sono entrate in crisi a causa della loro incapacità di comprendere i repentini e radicali cambiamenti che avvengono nella società mondiale. La Massoneria non rappresenta più, oggi, il prestigio e lo stile di vita che ne sono stati per secoli una delle più alte aspirazioni. La società da “chiusa” è diventata sempre più aperta. I mestieri e le professioni tradizionali sono stati rimpiazzati dall’intelligenza artificiale, che trova applicazione in molte attività umane, dai computer alla medicina. Il mondo virtuale che essa crea incrementa l’individualismo, mentre rende sempre meno rilevanti le relazioni sociali. Per le nuove generazioni la Massoneria non è più un centro d’attrazione, perché i loro interessi sono rivolti ad altro.
Tale crisi, che è oggettiva, è purtroppo favorita dall’assenza di leader carismatici. I Gran Maestri non sono più menti illuminate e lungimiranti che, ispirandosi ai più alti valori morali e tenendo fuori i metalli dal Tempio, guidano le Comunioni massoniche verso un futuro di speranza, pur tra incertezze difficile da interpretare. I Gran Maestri dovrebbero dialogare con i vertici degli Stati per contribuire alla risoluzione di problemi sociali che diventano sempre più gravi. Questi Gran Maestri non esistono più. Al loro posto vi sono figure che, non avendo la Luce dentro, governano in maniera autoritaria, con arroganza e punizioni insensate (le espulsioni di Stefano Bisi e di Fabio Venzi ne sono una prova evidente). Chi non si fa amare per le sue virtù, governa facendosi temere, esercitando la paura nella mente degli affiliati.
La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, come tutte le altre Massonerie del mondo, è afflitta da questa crisi sociale e generazionale. Nell’Agenda della Comunicazione Trimestrale dell’8 marzo essa ha incluso una tabella che mostra la decrescita quantitativa delle Logge, in Inghilterra e nel mondo, negli ultimi dieci anni essa è stata, più o meno, del 30%. Chiaramente questo dato è espressione di una crisi strisciante, che tende verso l’estinzione della Gran Loggia Madre del mondo. A queste difficoltà si aggiungono anche quelle economiche per mantenere in vita l’enorme e potente organizzazione internazionale: le spese sono fisse mentre le entrate diminuiscono. Come arrestare questo processo degenerativo? Allargando le maglie del rigore secolare? La UGLE è sempre stata proverbiale per quanto riguarda il riconoscimento delle altre Gran Logge. Come ho ricordato, il GOI ha dovuto attendere 110 anni per avere il suo riconoscimento, dopo che era stato richiesto dal Gran Maestro Costantino Nigra, uno dei più autorevoli diplomatici di quel tempo. La Gran Loggia (o Grande Oriente) da riconoscere veniva posta sotto un riflettore che ne metteva in evidenza ogni aspetto, per verificare se essa fosse corrispondente ai requisiti richiesti. Se riusciva a passare tra le fitte maglie, riceveva una patente di regolarità.
La UGLE ha compreso che, se avesse mantenuto il rigore secolare, sarebbe andata incontro all’estinzione e ha pensato di fronteggiare la situazione favorendo le visite (ed eventuali iscrizioni) alle sue Logge da parte di massoni stranieri. Primi tra tutti i massoni del Grande Oriente d’Italia, il quale, a differenza delle Gran Logge d’Europa, ha un numero esorbitante di iscritti (circa 23000). In tale prospettiva la GLRI è del tutto irrilevante: come si evince dal bilancio del 2021, il numero degli iscritti è di circa 2100, cui bisogna sottrarre i 150 fratelli sardi che la furia di Fabio Venzi ha espulso e le altre espulsioni che seguiranno. Come potrebbe la GLRI soddisfare l’esigenza della UGLE? Semplicemente, non può. Allora, la UGLE, chiudendo gli occhi – per la prima volta nella sua storia secolare – sulle infiltrazioni della mafia e della ‘ndrangheta e l’uso politico della giustizia massonica, riconosce di nuovo il GOI! Adesso migliaia di massoni di questa Obbedienza potranno correre verso Londra per iscriversi alle Logge della UGLE e portare quel denaro tanto atteso per far fronte alle necessità economiche interne. Che cosa resta di quella pura e vera Massoneria inglese che io ho idealizzato e portato come esempio in tutto il mondo? Nulla, assolutamente nulla.
Per questo, io ne canto il de profundis.
Col decorso del tempo, le società umane cambiano. Cambia anche la Massoneria. Quando comincia il declino, non possiamo fermarlo. Possiamo, invece, spiegarlo. Come risulta dalle suddette riflessioni, negli ultimi trecento anni l’ordine massonico, nelle relazioni internazionali, è stato garantito dal concetto di “regolarità”. Per comprendere meglio la Massoneria è necessario analizzare tale concetto in profondità.
La Massoneria moderna nasce nel 1717 proprio con lo scopo di regolamentare le Logge, stabilendo un insieme di criteri a cui queste stesse si devono uniformare. Prima di allora, ogni Loggia aveva il suo regolamento che valeva per i suoi adepti. Nasce così la Gran Loggia di Londra, la prima nella storia della Massoneria. Per dotarsi di tali principi e regole incarica J. Anderson di scrivere le Costituzioni massoniche. Si viene, così, a stabilire che una Loggia è regolare se si uniforma alle Costituzioni di Anderson. Quando si formano altre Gran Logge, si definiscono i criteri per riconoscerle, conferendo loro una Patente di regolarità.
Fatta questa premessa, chiediamoci se la Patente di regolarità sia l’unico mezzo valido per riconoscere una Gran Loggia. Si potrebbe parlare di “regolarità” indipendentemente dalla “patente” e di una Gran Loggia che la concede? Si sostiene, al riguardo, che se i membri di una Loggia o di una Gran Loggia si comportano conformemente ai Regolamenti che si sono dati, allora essi sono regolari e non hanno bisogno di alcuna patente. Sono in molti a sostenere questa idea di “regolarità”. Io non la ritengo valida e ne darò una giustificazione.
Supponiamo che ogni Loggia o Gran Loggia si dia i propri Regolamenti, come avveniva prima del 1717. È inevitabile che essi siano diversi poiché si ispirano a visioni diverse. Tutto andrebbe bene se si restasse all’interno della stessa Loggia o Gran Loggia. I problemi nascerebbero quando si volessero instaurare relazione tra due o più Gran Logge. La prima cosa che si farebbe sarebbe un confronto tra i Regolamenti e i Rituali delle Gran Logge. Poiché risulterebbero diversi in taluni aspetti, sarebbe necessario modificarli per renderli uniformi. Se si riuscisse a farlo, allora due o più Gran Logge avrebbero gli stessi Regolamenti e lo stesso rituale. Le altre Gran Logge, che volessero entrare in relazioni con loro, dovrebbero modificare i Regolamenti e i Rituali per essere accettati, e così via. A poco a poco si determinerebbe la stessa identica situazione della UGLE. Se si volesse mantenere la sovranità della Loggia, o della Gran Loggia, si creerebbero condizioni di anarchia che renderebbero difficile, se non impossibile, l’instaurazione di relazioni tra Logge, o Gran Logge, diverse. Come si può vedere la Patente di regolarità data da una Gran Loggia ad altre Gran Logge è la condizione necessaria e sufficiente per garantire relazioni armoniche e di collaborazione. La crisi del mondo massonico, che stiamo constatando e vivendo, non è dovuta alla Patente che la UGLE conferisce ad altre Gran Logge, ma al suo indebolimento determinato dalla rinuncia al principio dell’esclusività territoriale.
La UGLE ha abdicato al suo ruolo egemone, che ha esercitato per tre secoli, con la conseguenza che il mondo massonico si ritrova oggi senza una guida illuminata. Esiste un’altra autorità massonica, più o meno simile a quella della UGLE, che possa aspirare alla sua successione? Il primo pensiero va al Grande Oriente di Francia che dal 1877, rinunciando alla figura del Grande Architetto dell’Universo, si è definitivamente allontanato dalla Massoneria inglese, ponendosi come alternativa ad essa. Tuttavia, non è riuscito a fornire un’adeguata antropologia filosofica della Massoneria, simile a quella inglese, che ne avrebbe giustificato il suo diverso modo di porsi nei confronti delle altre Massonerie. La conclusione è che l’indebolimento della UGLE si ripercuote sulla Massoneria mondiale rendendola sempre più inadeguata a interpretare le esigenze del mondo contemporaneo.
Quali previsioni per il futuro della Massoneria? La pandemia del Covid-19 e la guerra Russia-Ucraina hanno accelerato i rapidi e radicali cambiamenti che avvengono nella società mondiale. La Massoneria è come un gigante dai piedi d’argilla, che fatica a star dietro al mutamento.
Col decorso del tempo il divario si farà abissale, e la Massoneria si ritroverà in un museo, a testimoniare un mondo ormai morto e sepolto. Solo l’avvento di Gran Maestri illuminati potrebbe ritardarne l’estinzione. Dove sono? Intorni a noi troviamo solo nani, dediti a lotte intestine per tutelare interessi personali o di gruppo, senza nessuno slancio ideale. E anche gli oppositori, spesso, non sanno che fare, avendo smarrito anch’essi l’unica via possibile: quella della morale.
Questi nani perpetueranno il potere generando altri nani. Di nano in nano la Massoneria si estinguerà come svanisce la nebbia al sole. Mai consentiranno l’avvento del gigante, perché li divorerebbe. Che fare?
Se la Massoneria è afflitta da una decadenza che nessuno può fermare, allora è necessario far ritorno all’uomo, al massone, e porlo al centro dell’universo massonico. Il massone, inteso come “pietra grezza”, deve essere levigato secondo i principi dell’antropologia filosofica che ho delineato nel corso di queste Lezioni. Sulla sua mente, simile a una tavoletta di cera intonsa, bisognerà scrivere, con caratteri indelebili, i principi etici che egli dovrà sempre seguire nella sua condotta pratica come se fossero un imperativo categorico.
Saranno questi massoni a far rinascere, dalle ceneri, l’araba fenice della vera e pura Massoneria. Sarà questa Massoneria a illuminare il futuro della società umana.