di Francesco Angioni*
Nel mondo britannico della fine del XVII secolo si viveva un senso di profonda crisi, gli antichi valori culturali perseguiti dai poteri delle Chiese e degli Stati erano stati sconvolti da guerre e rivoluzioni, la morale era stata parcellizzata in tante diverse morali a causa delle differenze religiose e politiche.
Si presuppone tuttavia che nelle situazioni di generale crisi socioculturale sorgano fenomeni di “rigenerazione” con l’intento di offrire nuove vie di comportamento sociale creando dei fittizi legami con tradizioni antiche. In concreto inventando una nuova tradizione, cioè riprendendo dal passato concetti e valori e reinterpretandoli alla luce delle nuove esigenze.
Questo è il meccanismo che l’antidogmatico storico Eric Hobsbawm chiamò la tradizione inventata: «Per “tradizione inventata” si intende un insieme di pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità col passato (…) è caratteristico delle tradizioni “inventare” il fatto che l’aspetto della continuità sia in larga misura fittizio»[1]. Dietro a questo fenomeno c’è il bisogno, di rendere stabile e identica al passato una nuova struttura sociale e/o una sovrastruttura culturale cristallizzandola nel tempo con un’apparente perennità. Per dare questo senso della continuità si “inventano” delle formalizzazioni, come regole e rituali, che si vogliono intendere come ripetizioni di uguali regole e rituali del passato.
Sempre Hobsbawm ipotizza che la tradizione inventata: «si verifichi più frequentemente quando una rapida trasformazione della società indebolisce o distrugge i modelli sociali ai quali si erano informate le “vecchie” tradizioni, producendone di nuovi ai quali queste non sono più applicabili; oppure quando le vecchie tradizioni, le loro carriere istituzionali e i loro promotori non si dimostrano più abbastanza adattabili e flessibili, o vengono comunque eliminati»[2]
Questa interpretazione è particolarmente interessante nell’ambito del fenomeno Massoneria per comprendere certi suoi meccanismi interni e certe relazioni tra essa e la società negli ultimi tre secoli.
A tutti gli effetti la Massoneria, al suo nascere, appare come una tradizione che con l’alibi della continuità storica propone nuovi modelli comportamentali socioculturali; in una parola: una nuova morale, quella appunto citata nell’articolo Primo delle Constitutions of Freemasons redatte da James Anderson e pubblicate nel 1723.
È questo un intrigante meccanismo per cui parole che avevano antichi e rispettati significati nel mondo e nella storia del pensiero occidentale assumono nuovi sensi più articolati e sofisticati, come le parole libertà, uguaglianza, fratellanza. Si prenda la parola libertà. Tra ateniesi e spartani la libertà era un valore assoluto, tanto da sacrificare la vita per essa; lo spartano Leonida grida sprezzante all’armata persiana che chiede la resa delle armi: “Molòn labé!”, venite a prenderle, perché agli uomini liberi, i cittadini e non i servi o gli schiavi, la libertà può essere strappata solo con la forza e questa non è sempre sufficiente. Socrate pure sacrificò la vita per la libertà, però, in una società schiavista. Perché libero non era l’uomo ma il cittadino. Poi venne la libertà romana, che era libertà dall’ignoranza, con una sofisticata giurisprudenza e con la raffinata tecnologia costruttiva e urbanistica che neppure il Tempio di Salomone poteva uguagliare. La libertà del romano, con le sue masse sterminate di schiavi e liberti, era un valore altissimo, ma riservato solo al cittadino, tanto che ai migliori e fidati di altre popolazioni si dava la cittadinanza romana come sigillo della loro assoluta libertà e dell’accettazione della sovranità romana sia politica sia culturale. Con la fine dell’Impero romano il senso laico della parola si perse nelle vaghezze religiose delle mille interpretazioni del cristianesimo, ove un’eresia diventa dogma perché è vincente sulle altre. Alcuni Padri della Chiesa chiedevano libertà per i propri fedeli e il proprio credo, ma predicavano anche la morte per l’infedele con la giustificazione che se l’infedele è un giusto o un innocente alla fine dei secoli sarà redento. Ancora un concetto di libertà a indirizzo limitato.
I diritti dei potenti erano assoluti e solo nel XIII secolo in Inghilterra si piegò il potere reale ai bisogni d’identità di una nobiltà e di una Chiesa che rivendicarono una maggiore indipendenza dai poteri assoluti del re, costringendolo a stipulare la Magna Charta Libertatum[3]. Fu una forma ufficiale di limitazione dei poteri assolutisti centrali, che contribuì a rinsaldare lo Stato con il riconoscimento di reciproci diritti, sostanzialmente limitata alle due classi della nobiltà e del clero. E seppure riconoscesse anche alcuni diritti ai servi[4] era sempre una libertà pro domo sua.
Ci vollero alcuni secoli prima che il concetto di libertà si ripresentasse nei suoi tradizionali significati laici, facendosi largo tra le fiamme dei roghi cattolici e protestanti di libri e persone.
In questi pochi esempi ogni volta la libertà viene considerata un valore universale e paradossalmente rivendicata da un gruppo contro un altro gruppo che è al potere. Simile discorso si può fare per i tanti valori “universalistici” che sono predicati – nell’antichità come oggi – in una logica (sic) di post hoc, ergo ante hoc. Un universalismo troppo contingente, che deve essere giustificato volta per volta con un richiamo al passato, perché allora come oggi il passato sembra essere la ceralacca timbrata a caldo che sanziona la validità di un’asserzione del presente.
Lessing nei suoi Dialoghi massonici ironizza proprio su questa logica, che dichiara una cosa vera solo perché detta da qualche antico, senza metterla in discussione. In altri termini, si dà una patente di antico a un qualcosa che invece è molto moderno, gli si assegna una tradizione che non è mai esistita e in tal modo si giustifica tutto.
La tradizione è un potente alleato di chi vuole creare un nuovo sistema di valori; come si può negare valore alla parola “fratellanza” quando ci si richiama alla logica di solidarietà “fraterna” tra iniziati di una gilda o corporazione o all’unitarietà di un solidale gruppo conventuale o guerriero-monastico o cavalleresco? La questione è che dentro queste parole ci sono significati che hanno un valore distintivo, riservato (esoterico) e comprensibile solo agli iniziati. Però, la parola è e rimane un valore “tradizionale”, ma di una tradizione che non esiste e che volta per volta viene ricreata a giustificazione di nuove realtà diverse, ora di progresso ora di regresso, come nel caso della falsa tradizione ariana del nazismo o della romanità da piazza del fascismo o… di una massoneria d’origine templare. Ma non bastano le parole, ci vogliono i documenti, e se non ci sono li si inventa, corroborati da simboli, allegorie e cerimonie.
Senza questi elementi le parole rimarrebbero parole; i simboli, le allegorie e le cerimonie ritualistiche assumono infatti la valenza crismatica dei comportamenti che ratificano la realtà inventata. I comportamenti cristallizzano le parole in tradizione. Nessun passaparola da bocca a orecchio può concretizzarsi in tradizione se non si definiscono pragmaticamente dei comportamenti collettivi che questa tradizione tramandano.
Quando James Anderson venne incaricato di redigere le Constitutions of Freemasons egli creò una fittizia storia che dai tempi adamitici sarebbe arrivata al primo decennio del XVIII secolo, una dichiarazione di umana eternità della Massoneria come veniva intesa in quel momento. Ma a questa storia si aggiunsero dei simboli, delle allegorie, delle strutture organizzative sociali e delle norme che davano concretezza a una storia illusoria, invenzione di una irreale “persistenza” in una storia infinita. Nell’intento originale questi fattori (simboli, allegorie, etc.) erano da considerare come “conseguenza” della storia inventata, in realtà era la storia inventata a essere conseguenza di quei fattori predeterminati. Nell’ambito massonico prima si definiscono le strutture operative, i gradi, le relative simbologie e allegorie e poi il rituale, una formulazione di tradizione che giustifica tutto quanto. Un grado o un simbolo scelto e definito aprioristicamente assume un senso compiuto quando è celebrato dentro un rituale. Il processo ha una sua dinamica interna che dà coesione e coerenza a tutto il sistema ritualistico. In senso semiotico i “segni” come i gradi, i simboli, le allegorie, le parole segrete, le posture e le gestualità rituali, gli apparati e i paramenti sono tutti avvalorati sintatticamente dal rituale; cambiando il rituale cambia tutto il sistema di segni, e principalmente l’interpretazione cognitiva di questi. È un processo quindi di tipo deterministico.
In un processo deterministico ove causa e conseguenza sono strettamente intrecciate in senso lineare (come il razionalistico post hoc, ergo propter hoc), che non considera le deviazioni determinanti, si deve assegnare alla causa e alla conseguenza delle cose precise, non importa se in modo errato, perché quel processo ha comunque valore assiomatico e non problematico. I segni in senso cognitivo non sono discutibili. È verità in sé e non di per sé. Un processo che prescinde dal principio di non contraddizione, dalla razionalità e dalla documentazione storica, è un farsi mitologia, o meglio “tradizione inventata”. È ciò che in psicologia sociale si chiama una “bugia blu” come si vedrà in seguito.
Nella tradizione agiografica massonica le logge della fine del XVII secolo erano considerate come espressioni organizzate di vetuste (o in via di dissoluzione) corporazioni[5] di mestiere. Dai documenti sembra invece che fossero organizzazioni, simili alle confraternite di solidarietà, parallele alle corporazioni con funzioni di supporto sociale e costituite da personaggi di rilievo della città, organizzazioni che per mantenere il legame con la corporazione di riferimento avevano tra i propri membri anche alcuni “operativi”.
La confusione terminologica tra corporazioni di mestiere e logge massoniche nasce dall’uso del termine “lodge” che anche nel Basso Medioevo veniva usato per definire genericamente le corporazioni. Tuttavia nel XVII secolo la stessa parola assunse un significato diverso, applicandola non a una struttura di decine se non centinaia di persone che lavoravano per la corporazione ma a un piccolo gruppo con interessi variamente culturali, che progressivamente passarono a forme ritualistiche e con una logica di chiusura all’esterno del gruppo.
La questione si sposta dal piano delle conseguenzialità storiche a quello del senso epistemologico di un passaggio da una istituzione sociale a una istituzione culturale chiusa. La documentazione storica non offre testimonianze di tale passaggio, le relazioni tra corporazioni e logge massoniche sono troppo labili, dando luogo non a certezze ma solo a ipotesi esplicative che non rispondono alla vera domanda, che allora deve essere: in quale ambito di ricerca può essere posizionato il passaggio dall’operatività alla speculazione? La questione, infatti, non è sulle forme strutturali delle corporazioni e logge, completamente diverse, ma sugli aspetti sovrastrutturali e quindi sugli scopi, le finalità e l’oggetto del riunirsi.
Questo passaggio da gruppo solidale con la corporazione, ma non interno ad essa, a gruppo dalle caratteristiche culturali estranee alla corporazione sarebbe la vera fase di passaggio alla Massoneria speculativa. Dunque, non esisterebbe una trasformazione della corporazione in loggia massonica ma eventualmente un richiamo ideale a una tradizione, questa sì vera, delle corporazioni operanti da circa il IX secolo fino al XVII[6].
I primi Massoni del XVII secolo si richiamavano alla muratoria medioevale ma senza documentare tale continuità. Invero non c’era continuità ma “contiguità ideale”, era piuttosto un perseguimento ideale, se non un tentativo di mantenere in vita certi scopi sovrastrutturali delle corporazioni come la solidarietà e l’aiuto tra i membri del gruppo, l’uguaglianza in termini professionali senza differenziazioni sociali, la ricerca di conoscenze svolta con gli strumenti non scientifici dell’epoca, gli “esoterismi” caratterizzanti, ed infine la separazione dalle leggi e giurisprudenze di natura sociopolitica – prerogativa difesa dalle corporazioni per secoli – che, anche con trattati con le istituzioni politiche, regolava le problematiche interne con propri ordinamenti[7]. Dunque una separazione netta dalla società allegorizzata e simboleggiata nelle logge con patti interni di segretezza.
Come più volte ripetuto la differenza tra le antiche corporazioni e le moderne logge era assoluta; nessun aspetto presente nelle logge massoniche, tolte alcune simbologie, gerarchie e sue denominazioni, era uguale o simile agli aspetti delle corporazioni seicentesche o di quelle ancora precedenti.
Però si creò il meccanismo semiotico per cui si prendevano parole e simboli, parabole, allegorie e cerimonie da antichi documenti e li si attualizzavano in riti e cerimoniali, organizzazione e paramenti, asserendo assiomaticamente che erano prosecuzioni del passato, anche se si trattava solo di vaghe somiglianze o più correttamente delle allegorie di antiche manifestazioni sociali.
In seguito, una schiera di pseudo-storici si sarebbero arrampicati sugli specchi della creatività per dare un senso di continuità solo per via ipotetica e non documentale. Costoro presero la realtà del presente e la proiettarono nel passato con la paradossale logica del post hoc, ergo ante hoc.
In ambito massonico si sente spesso parlare di “storia mitica” della Massoneria. Un concetto di storia che non ha senso; più corretto sarebbe parlare di “mitologia della storia”, come se essa fosse l’unica realtà giustificante l’esistenza di ciò che non esiste.
Herder, nella seconda metà del XVIII secolo era – e non solo lui – un profondo conoscitore dei miti, e con fine intuito storicistico dichiarava che i miti sono il prodotto di un lungo processo di sintesi della poesia popolare, dei racconti, delle fiabe e canzoni tramandate attorno al fuoco tribale e che non sono cose inventate a tavolino; il suo pensiero era che un mito non è una storia o una tradizione inventata. Alla vera tradizione e ai veri miti non è possibile assegnare un anno o un secolo di nascita, dietro al mito ci sono ere di elaborazione che determinano la distinzione di una cultura da un’altra, di un popolo e di una lingua da altri. Le vere mitologie non sono mai un prodotto universale umano ma di un popolo o di una cultura, è la loro sovrainterpretazione che le assegna un valore universalistico, rendendolo coerente con quelli dei tempi presenti.
La Massoneria, prescindendo dalle invenzioni mitopoietiche, nasce come realtà storica nella seconda metà del XVII secolo e non ere fa, come asseriva J. Anderson. Fino ad oggi nessun documento ha dimostrato la continuità con un qualche fenomeno sociale preesistente e ogni asserzione che la mancanza di documenti non definisce l’inesistenza di una realtà può essere la prudente attesa dello storico che non chiude mai le porte a successive scoperte, ma da qui a dare per scontata l’esistenza dell’inesistente ce ne corre; infatti, se semiologicamente ogni interpretazione è possibile, si deve riconoscere che ce ne sono anche di errate.
Un caso esemplare è quello rappresentato dal fatto che nel XVIII secolo, e per tutti i secoli precedenti, si era considerato come il più antico tempio religioso il Tempio di Re Salomone, costruito con regole di assoluta scienza. Un’idea connessa alle credenze religiose cristiane dell’epoca. Quel tempio fu costruito nel X secolo a.C. Ma non si sapeva che le prime piramidi egizie erano del XXVII secolo a.C. Neppure si sapeva, allora, che in precedente epoca neolitica a Malta erano stati costruiti dei templi che a loro volta non solo sono esemplari per le impressionanti regole costruttive alla base della loro progettazione e tecnica architettonica, ma anche per la relazione con le conoscenze astronomiche che solo in seguito sarebbero state formalizzate da altre civiltà[8].
Sarebbe allora da dire che la nascita della Muratoria avvenne a Malta e non in Palestina, e che i primi veri Muratori e Architetti furono quegli uomini del Neolitico che non conoscevano l’arte del rame o del bronzo, ma che fecero a mano e a colpi di pietra delle costruzioni ciclopiche.
Nel muro di cinta di uno dei templi maltesi c’è una “pietra squadrata e levigata” del peso di oltre venti tonnellate, trasportata da una cava lontana qualche chilometro dal tempio.
Non si hanno disegni originali di alcuna forma del Tempio di Salomone, ma su una grande pietra di un tempio maltese c’è scalfita l’esatta riproduzione della pianta del tempio, incisione che gli archeologi datano all’epoca della costruzione, e sono stati ritrovati ed esposti al Museo archeologico di La Valletta anche dei modellini in pietra della stessa epoca, riproducenti i templi che oggi vediamo. C’è da rimanere interdetti. Evidentemente l’Arte Sacra del Muratore è molto più antica storicamente di quanto viene asserito dalla mito-storia della Massoneria. Se l’ignoranza dei primi massoni è giustificabile per la mancanza di conoscenze storiche in quell’epoca, molto meno è giustificabile per i massoni di oggi, che a quelle nozioni di storia posso accedere facilmente.
Tornando alle gilde muratorie e alle logge massoniche, l’unica cosa che si può dire è che il “tradizionale” legame tra la costruzione del Tempio di Salomone, le gilde muratorie medioevali e la Massoneria moderna, legame che ancora sussiste nell’idealità massonica odierna, è un evidente tentativo di dare un senso perenne alla Massoneria stessa. Non è una logica storicistica ma può essere ascritta come mitopoietica.
Anderson e il ristretto gruppo di suoi Fratelli massoni che decisero di dare delle regole precise a una nascente organizzazione di varie logge, studiarono con accuratezza gli Statuti di molte corporazioni muratorie medioevali e ispirandosi a questi Statuti stilarono i cosiddetti Old Charges o “Antichi Doveri dei Massoni”. In realtà i riferimenti diretti alle regole corporative medioevali sono molto pochi, più che altro si tratta di “indicazioni” di principi similari a quelli antichi e che erano in vigore presso le logge scozzesi e in seguito inglesi, questi ultimi di poco precedenti alla Premier Grand Lodge.
Le moderne logge massoniche del Seicento e quelle successive erano organizzate senza relazione alcuna con le corporazioni di mestiere, i rituali di loggia non avevano tutti quei riferimenti religiosi cattolici presenti negli Statuti corporativi, riferendosi piuttosto alla versione riformata della Bibbia. Le logge dal XVII secolo in poi erano luoghi di aggregazione dove si discuteva e teorizzava (speculava) con modalità che non erano quelle di un realizzare una commessa o appalto assegnato da un potere civile o religioso o per ragioni di prassi costruttiva.
Insomma, in queste logge si “lavorava” in un modo assolutamente innovativo, fuori da ogni tradizione. A rigore di logica si dovrebbe allora parlare di un’altra tradizione, quella delle antiche accademie dove si speculava tra esperti senza estranei, quindi nel senso etimologico del termine “esoterico”.
Le logge massoniche si erano date delle regole interne che erano regole ideali, prescrizioni d’innovazioni culturali e sociali che i più avanzati e talora radicali intellettuali già da alcuni decenni andavano proponendo in Inghilterra e Francia, ma anche Olanda e Germania; proposte culturali e sociali non rintracciabili nelle tradizionali gilde medioevali; pertanto, anche in senso culturale lo iato era profondo.
Così, per dare validità alla tesi di una tradizione che si tramanda da più di due millenni si individuano le caratteristiche della massoneria moderna e le si applicano alle corporazioni antiche, da quelle romane a quelle medievali. Le due caratteristiche fondanti addebitate sono i riti iniziatici e gli esoterismi che si afferma fossero presenti nelle corporazioni antiche, assegnando a questi riti ed esoterismi un valore spiritualista che si sarebbe tramandato nel tempo si ripercorre la strada del post hoc ergo ante hoc, poiché non esistono documenti che dimostrano tali tesi[9].
La vera importanza della nascente Massoneria non è data dalle sue supposte origini, ma dall’innovazione socioculturale, anche in senso morale, delle moderne logge. Lessing e Herder furono tentati ambedue dallo studiare la storia della Massoneria, ma ci rinunciarono ben presto e loro non erano menti da poco. Si resero subito conto che la mancanza di dati documentali lasciava spazio a ogni fantasia, e loro non avevano i piedi in alto e la testa in basso, come ironicamente qualcuno un secolo dopo avrebbe detto a proposito della filosofia ed economia settecentesca.
Le Constitutions of Freemasons (prima e seconda edizione) furono comunque il documento fondante, dal quale non si può prescindere, della moderna Massoneria. In esse sono presenti i quattro concetti che fanno da pietra angolare e da pietra di volta dell’intero edificio massonico, quelli di Morale, di Libertà, di Fratellanza e di Uguaglianza. Concetti che non hanno relazione semantica (di significato delle parole) con quelli come erano intesi nel Medioevo, ma piuttosto con quei valori che si potrebbero definire protoilluministici; erano le anticipazioni del più articolato e definito pensiero illuministico europeo. Inoltre, negli Old Charges (sintomatico è l’aggettivo old o antico) della prima Gran Loggia, come sopra detto, mancano i riferimenti religiosi così come erano presenti negli statuti delle corporazioni muratorie.
Come accennato sopra, nel Settecento incominciò a incrinarsi la pretesa dello Stato e della Chiesa di porsi su un piano di assoluta superiorità, e la Massoneria si propose come alternativa di perfezionamento delle condizioni non solo della società ma dell’intera umanità. Nell’edizione delle Constitutions del 1723 il senso universalistico è assoluto: il Massone è assunto come membro esemplare dell’umanità. Successivamente, nell’edizione del 1738, si fa presente il senso cosmopolita quando si asseriscono valori e principi (ad esempio la fede in una divinità monoteista e nelle leggi dello Stato in cui la Gran Loggia opera socialmente) che denotano l’organizzazione massonica dentro la pluralità delle società umane.
La stessa organizzazione delle logge e della Gran Loggia è “idealmente” mutuata (non storicamente conseguente) dall’organizzazione corporativa. Tra le tante differenze c’è da ricordare che all’inizio la gerarchia tra membri della loggia era tra Apprendisti e Compagni, senza un terzo grado, di Maestro. Questo termine era la denominazione, ma non grado, del capo della loggia o di persone di elevata conoscenza culturale anche se solo di Primo Grado.
Nei primi anni del Settecento in alcune logge scozzesi esisteva questo terzo grado, ma non era una pratica ritualistica generalizzata; anche esso era mutuato dal titolo di chi dirigeva le organizzazioni cantieristiche. In ambito inglese il grado di Maestro venne aggiunto in seguito e suffragato da una dichiarata invenzione narrativa come quella di Hiram. La narrazione della tragica vicenda dell’architetto del Tempio di Salomone, che non trova riscontro nella Bibbia, è appunto un’esplicita “tradizione inventata”, che venne formalizzata con un rituale complesso che fa parte del cerimoniale di passaggio dal grado di Compagno di Mestiere a quello di Maestro Muratore. Gli stessi Massoni considerano questa invenzione come una sorta di allegoria a scopi cerimoniali e non certo come un evento di tradizione storica; infatti, non si hanno tracce documentarie né del rituale cerimoniale di passaggio né della figura di Hiram nelle logge massoniche seicentesche e meno che mai nelle corporazioni muratorie medioevali. Ancora oggi nessuno storico è riuscito a scoprire chi abbia inventato e dove sia stata inventata questa leggenda.
L’altro caso più eclatante di tradizione inventata è quello ideato da Andrew Michael de Ramsay di una continuità storica tra i cavalieri delle Crociate e la Massoneria; giacché nessuno storico è in grado di accreditare tale tesi come attendibile e neppure ipotizzabile, ma solo come ricostruzione di carattere più novellistico che storico. Come disse ironicamente Dario Fo nel 1987: «Le nostre fonti non sono sempre attendibili, ma di certo sono quasi sempre affascinanti», per cui è difficile dire quanto i Templari fondatori della Massoneria[10] siano una tradizione inventata o quanto una “mitobiografia” massonica fosse volta a legittimare la Massoneria in termini meno fanta-biblici e più fanta-cavallereschi[11].
Se si vuole parlare di “tradizione massonica” allora si deve fare riferimento a una continuità che nasce formalmente nel 1723 con le Constitutions of Free Masons, in cui si dichiara la nascita della Grand Lodge nel 1717. Una data dichiarata ma non documentabile, infatti tra il 1717 e il 1723 non si conoscono documenti della Grand Lodge, così come non si hanno documenti sulle singole fondazioni delle logge presenti nel XVII secolo e delle cui attività e pensiero fondante mancano informazioni certe. Unica cosa sicura è che in certe regioni britanniche, specialmente in Scozia, coesistevano i residui di alcune corporazioni muratorie (e non solo muratorie) in via di dissoluzione per motivi storico-economici, ed esistevano sparsi e sparuti gruppi di persone che non erano membri, eccetto rari casi, delle stesse corporazioni; gruppi che si autodefinivano “logge” e che si erano dati regole interne e rituali nei termini citati da Hobsbawm.
La tesi della continuità storica e dunque tradizionale tra corporazioni e logge presuppone che le stesse corporazioni per secoli siano rimaste immutate e immutabili, senza considerare i cambiamenti effettivamente avvenuti nel corso dei secoli e specialmente nel XVII secolo. Il riferimento agli Statuti di queste gilde non dà e non può dare conto dei cambiamenti organizzativi e funzionali che invece avvennero; è una forma di cristallizzazione della storia con lo scopo di dare un senso d’immutabilità a dei fenomeni sociali che per loro natura non possono essere statici. Tali statuti non erano altro che atti amministrativi delle corporazioni di mestiere che si collocano in uno specifico momento storico. In altri termini, si vuole dare “consuetudine tradizionale” a ciò che in realtà è secolo dopo secolo l’affermazione di nuove e successive modalità operative, funzionali e ideali, volendo così rendere perpetua la “consuetudine”.
Dice ancora Hobsbawm: «Più interessante, (…), è il ricorso a materiali antichi per costruire tradizioni inventate di tipo nuovo, destinate a fini altrettanto nuovi. Nel passato di ogni società si accumula una vasta riserva di questi materiali, ed è sempre facile ripescare il complesso linguaggio di una pratica e di una comunicazione simbolica»[12].
La Massoneria si caratterizza quindi come adesione formale al passato e allo stesso tempo come duttile innovazione socioculturale. La Massoneria settecentesca volle imitare la forma reticolare delle corporazioni di mestiere che operavano nelle diverse regioni di una nazione, ma in realtà assunse delle forme completamente diverse. Ciò però fu anche la sua debolezza, infatti quando la Massoneria nacque in Inghilterra subito si espanse nell’Europa continentale con regole e rituali affatto diversi da quelli inglesi, adeguandosi o meglio sottostando alle tradizioni culturali dei diversi Paesi e alle innovazioni portate dal pensiero illuministico, così come pure diversamente interpretato nelle distinte aree nazionali.
La stessa prima Gran Loggia inglese fu una sorta di “burocratizzazione” di quella plastica realtà che erano le logge massoniche seicentesche, e le innumerevoli Gran Logge che rapidamente si crearono in quasi tutti i paesi europei furono la forma “burocratizzata” (in senso tecnico) di un riferimento ideale che veniva reinventato come tradizione.
In quanto strutture organizzative inserite nel sociale esse assumono, allora e oggi, regole e procedure fissate negli Statuti di ogni Gran Loggia che vorrebbero essere immutabili ma che in realtà cambiano in continuazione, come ogni sano statuto associativo deve fare davanti ai cambiamenti della società, sempre che l’associazione voglia sopravvivere.
La stessa Gran Loggia d’Inghilterra (poi Gran Loggia Unita d’Inghilterra) ha cambiato più volte il proprio statuto anche in aspetti di rilevante importanza rispetto all’edizione del 1723. Ma queste forme di burocratizzazione non sono espressioni né delle consuetudini né della tradizione, sono solo aspetti di una necessaria funzionalità operativa. Altro aspetto di discontinuità è l’assoluta difformità di organizzazione e di scopi tra le singole logge speculative seicentesche e la prima Gran Loggia.
Come asserisce Hobsbawm gli scopi della Massoneria moderna sono assolutamente innovativi e di rottura con una pretesa (e inventata) tradizione storica. Dall’operatività a scopi economico-finanziari si è passati a scopi ideali e speculativi; esiste uno iato assoluto senza quel necessario processo di modificazione e adeguamento che sarebbe necessariamente presente in una struttura sociale che storicamente si svolge gradualmente nella storia. Tale processo di adeguamento socioculturale è invece presente nella Massoneria moderna ed è evidente nel suo differenziarsi al proprio interno in modo si direbbe costante e conseguente ai cambiamenti delle società e culture moderne. In altri termini, si può affermare che in Massoneria la tradizione viene inventata quotidianamente.
Questa è una constatazione di magra consolazione.
Herder, nei Dialoghi massonici, fa esclamare al suo personaggio perché mai i Massoni possono credere a certe assurdità sulle origini della Massoneria. Non è questa la sede per esplicitare gli argomenti di Herder, però la domanda non è né assurda né riferita solo ai suoi tempi. Il senso vero della domanda è: perché ancora nel XXI secolo si dà credito a certe ipotesi non dimostrabili sulle origini della Massoneria? La Massoneria ha tanti versanti d’osservazione e quello principale è di essere un fenomeno socioculturale esistente da tre secoli e distribuito su tutti i continenti. Dunque, come fenomeno socioculturale non si può prescindere dall’analizzarlo anche alla luce delle moderne scienze sociali. Alla domanda di Herder oggi può rispondere la psicologia sociale e certe sue ultime ricerche nel campo delle fantasie credute come vere[13]. Questa disciplina distingue tre tipi di “fantasie” o più precisamente bugie: le “bugie nere”, da nessuno condivisibili e da tutti respinte, a carattere esclusivamente egoistico; le bugie blu”, condivisibili solo dentro un gruppo anche se note come bugie; le bugie bianche, condivise da un largo pubblico ma riconosciute come falsità, dette a scopi affettivo-relazionali e di empatia: “il tuo maglione è un bel regalo di Natale”[14].
In questa sede interessa osservare le pseudo-mitiche origini della Massoneria intese come “bugie blu” [blue lies][15]. Queste sono falsità dette a favore di un gruppo, con lo scopo di aggregarlo e meglio rinsaldarlo; in altre parole, servono a rafforzare i legami relazionali dentro il gruppo. Le bugie blu sono interne a un gruppo, come la tradizione massonica adamitica di Anderson, quella cavalleresca di De Ramsay o quelle druidiche e tante altre. Diversi studi hanno dimostrato che la tendenza a dire bugie blu aumenta con l’età, e sono preponderanti nell’età adulta[16]. Quanto più una persona si sente parte di uno o più gruppi tanto più mente a favore non tanto di se stessa (bugia nera) quanto del gruppo, sa di mentire ma lo fa a favore di una causa più grande di lui e questo viene percepito come accettabile all’interno del proprio gruppo[17]. È il tipico caso di non pochi esponenti di loggia e di Gran Loggia che pur avendo un livello culturale medio-alto, e disponendo di letture non sporadiche, perseguono nel “tramandare” favolistiche origini della Massoneria allo scopo di tenere unito il gruppo (loggia o Gran Loggia).
Questi risultati rispondono alla domanda di Herder, ma c’è un aspetto che Herder non affronta e che è alla base della falsità dell’idea di “universalismo massonico”, e cioè le assolute differenziazioni esistenti da tre secoli dentro questo complesso e proteiforme movimento che è la Massoneria.
Le bugie blu, ad esempio la massoneria dell’Ordine della Stretta Osservanza Templare tedesca del XVIII secolo o quella coeva della “massoneria egizia” e altre ancora, non hanno solo la funzione di dare coesione al gruppo inventando incredibili origini massoniche, esse oggettivamente creano conflitti con gli altri gruppi massonici che rivendicano diverse “tradizioni”. Come dire che assumono la funzione conflittuale di divisione, di separazione netta tra il proprio gruppo e gli altri. Gli altri gruppi sono “Altri” e quindi gruppi con cui è impossibile ogni relazione, al limite da considerarli inesistenti, fantasmi pericolosi. È il risvolto negativo del concetto di “regolarità”. C’è insita in questa separazione un senso di violenza, di aggressione per paura di essere aggrediti. L’empatia interna a quelle strutture massoniche è forte, c’è un forte senso di solidarietà e fratellanza e di libertà di pensiero dentro però ai criteri valoriali e culturali del gruppo, dunque una libertà a condizione limitata. La difesa del gruppo allora si esplica nella bugia blu, nella menzogna sancita socialmente. La propria Tradizione e il proprio Statuto (sanzione ufficiale della tradizione) diventa lo strumento di competizione contro altre tradizioni e norme di “regolarità”.
Questo meccanismo psicosociale caratterizzò la nascita di organizzazioni massoniche continentali, come quella francese antagonista a quella britannica, fin dai primi decenni dall’inizio della Massoneria britannica, ma anche all’interno di quest’ultima con la divisione tra Antients e Moderns, tra massoni irlandesi e inglesi. I primi, infatti, contestarono i secondi per motivi di differenze politiche, dinastiche e religiose corroborando tali differenze con distinzioni rituali, simboliche e di gradi, così opponendo la tradizione “antica” a quella spregiativamente chiamata “moderna”.
A sua volta la massoneria tedesca settecentesca fu un teatro di conflitti tra diverse bugie blu di esemplare portata continentale. La “tradizione” scozzesista francese fu sovrainterpretata, alterando le tesi di De Ramsay in chiave templare, da Karl Gotthelf von Hund nel 1760, così creando un differente e antagonista; lo “scozzesismo” tedesco, rispetto al quale Friedrich Ludwig Schröder oppose un rituale spiritualista dei tre gradi di marca inglese.
C’è da considerare che nei secoli XVIII e XIX lo scetticismo verso le falsità era patrimonio di circoli culturali ristretti, e quindi le bugie blu non erano riconosciute dalla maggioranza come tali, pur conservando i loro scopi e meccanismi interni. I sovrani “mentivano” in modo palese e ugualmente i predicatori di ogni culto, ma l’importante era il perdonare le bugie in nome di un valore superiore[18]. Dunque, le bugie di un sovrano o di un Gran Maestro o Venerabile di Loggia erano interpretate dai membri dei sostenitori del sovrano o di altri capi di gruppo come espressioni non caratteriali ma di un leader efficace.
Apparentemente le bugie di un potente dovrebbero fargli perdere il consenso generale. Questo non accade, anzi si rafforza il consenso a lui. Questo perché in un clima conflittuale, ad esempio di Gran Logge contro Gran Logge o di Riti contro Riti, come da sempre avviene in Massoneria, la falsità assume il carattere dell’arma difensiva, sul presupposto/pregiudizio che l’Altro è un diverso pericoloso per l’unità del gruppo, e come arma è quindi giustificabile e accettabile. È una forma di difesa[19] e dunque dal punto di vista dell’osservazione scientifica è irrilevante se la bugia è più o meno macroscopica e credibile. Ciò che importa è la differenza tra il Sé e l’Altro, una classica competizione tribale[20], un clima di competizione e di iper-polarizzazione che caratterizza la storia della Massoneria da trecento anni.
Nel momento in cui la Massoneria viene concepita come tradizione muratoria o cavalleresca o d’altro genere si attuano i due meccanismi del positivo e del negativo. La positività risiede nella tensione alla cooperazione, alla solidarietà tra i membri del gruppo, alla fiducia reciproca. La negatività esprime la predisposizione all’opporsi all’Estraneo, al conflitto con lui, alla tendenza all’autoinganno e dunque alla negazione del concetto stesso di libertà di pensiero. Il concetto attuale di “tolleranza”, ben diverso da quello illuministico, illustra bene il servaggio al rifiutare un pensiero diverso con l’asserzione “tollero la tua idea anche se non la condivido”, e quindi a interrompere ogni mediazione tra le posizioni diverse.
La mediazione tra diverse idee è stata analizzata in una accurata ricerca che parte dal presupposto “ideale” che si debba ricercare nell’altro il meglio[21]. Questa fu la posizione di Lessing quando nei suoi Dialoghi massonici asseriva che, di là da ogni fantasia sulle origini ed esoterismo, ciò che importa è l’onestà (di pensiero) personale e la tensione al perfezionamento dell’umanità, e questa era la chiave interpretativa dell’idea di tolleranza nell’accezione dell’Aufklärung lessinghiano, non precisamente collimante con quella del Lumière francese.
Chi ha potere amministrativo dentro una loggia o Gran Loggia ha anche potere culturale e ideologico e non vi rinuncia, non per volontà dispotica ma per bisogno di mantenere la coesione nel gruppo, riproponendo al gruppo quelle idee che fanno parte della tradizione culturale del gruppo stesso. Ogni Venerabile e ogni Gran Ufficiale ripercorre una via di tradizione di falsità che fanno parte della indiscutibile tradizione storico-culturale della loggia e Gran Loggia e anche del Rito.
Il rito dell’Arco Reale è una palese dimostrazione di questa ferma volontà di coesione collettiva. Esso non era parte, se non in via assolutamente minoritaria, dei Moderns, ma quando si decise di unificarsi con gli Antients lo si accettò come Rito complementare e non discriminante[22]. Un Rito inventato divenne tradizione della nuova Massoneria inglese.
Verrebbe da chiedersi come possono essere fermate le falsità in ambito massonico, quelle sulle sue origini ma anche quelle riferite a pratiche iniziatico-esoteriche che non sono storicamente fondanti il pensiero massonico, così come definito nelle prime Constitutions of Freemasons.
L’unica risposta è che l’opposizione dovrebbe venire da un membro dello stesso gruppo. Ma è una risposta paradossale: tale membro sarebbe subito sostanzialmente escluso dal gruppo come eretico. E ugualmente se l’opposizione venisse da una minoranza questa sarebbe esclusa dando luogo all’ennesima diaspora massonica, una nota prassi storica della polverizzazione della Massoneria.
Molte ricerche scientifiche in campo sociale hanno verificato che le persone sono più propense a credere alle bugie che vengono da fonti ideologicamente in sintonia con i propri preconcetti. Un circolo virtuoso: assumo idee da altri e costruisco un sistema ideologico che vado a sintonizzare (convalidare) con altri che hanno lo stesso mio sistema, una sorta di parestesia intellettuale che si risolve in una tautologia speculativa.
Allora la vera domanda non è quella di come opporsi alle bugie, ma come prendere coscienza delle bugie. La risposta è facile[23]: dal punto di vista massonico è il seguire le modalità operative di quella che si può chiamare la via della Bildung massonica, cioè superare gli stati emotivi che legano a certi schemi precostituiti, cercare forme alternative d’informazione e verificarne l’attendibilità, entrare in contatto con gruppi di altra formazione culturale e ideologica, mettendo in discussione le proprie idee. Dare infine coerenza e correttezza sostanziale alle proprie idee.
Ma quello che è prioritario è mettere una distanza critica con il proprio gruppo, vagliare criticamente le assertività assiomatiche e apodittiche del gruppo, diminuendo la tensione all’appartenenza al gregge. In poche parole, se il “capo” dice bugie non seguirlo nel dire bugie.
Questa lunga sequela di osservazioni può essere tacciata di storicismo e di psico-sociologismo ma non si deve dimenticare che la Massoneria è un fenomeno storico, sociale, culturale e ideologico che coinvolge individui e gruppi e che può e deve essere valutato nelle sue molteplici sfaccettature. L’occhio dello studioso di Massoneria deve essere come quello della mosca, una metafora dell’entità sovrasistemica che integra le molteplici visioni, un’interazione di diverse modalità d’osservazione che riflettono le esperienze di un gruppo di osservatori e della funzione intellettiva che integra tante indagini dando loro un senso.
[1] Eric J. Hobsbawn e Terence Ranger, L’invenzione della tradizione 2002, Einaudi, Torino, p.3.
[2] Ibidem p. 7.
[3] Precedentemente alla Magna Carta accettata il 15 giugno 1215 dal re Giovanni d’Inghilterra, era stata stipulata un’altra Carta, di minore significato politico
[4] Un riconoscimento di diritti dei servi erano presenti negli articoli 16, 20 e 28.
[5] Si usa il termine generico di corporazione anche se in italiano si differenziano le gilde dei commercianti dalle corporazioni di mestiere produttivo-industriale.
[6] Riguardo alla funzione socioeconomica e antropologica delle corporazioni dei mestieri in Italia si veda http://rm.univr.it/repertorio/rm_bezzina_organizzazione_corporativa_e_artigiani_italia_medievale.html
[7] In molti casi le corporazioni, con il proprio potere economico imponevano alle istituzioni civili che le violazioni di leggi da parte di membri della corporazione potevano essere giudicate e sanzionate dagli organi giudicanti corporativi. Questa modalità fu ripresa nelle Constitutions of Freemasons del 1723 quando si separa il giudizio massonico da quello civile, per cui una condanna civile non trova automatica applicazione dentro l’organizzazione massonica.
[8] I templi maltesi furono eretti secondo precise direzioni rispetto al sole e hanno piccole aperture che indirizzano i raggi solari nelle epoche dei solstizi ed equinozi dentro delle apposite camere, il cui scopo oggi è ignoto.
[9] Si veda di F. Angioni Sulla mito-storia della Massoneria, in Critica Massonica, n. 0, pp. 10-46.
[10] È sempre utile ricordare che de Ramsay addebitava la nascita della Massoneria ai crociati ospedalieri dell’Ordine di San Giovanni e non ai crociati dell’Ordine del Tempio. Si ha allora una invenzione nell’invenzione, semioticamente una sovrainterpretazione di una sovrainterpretazione.
[11] C’è chi ritiene che de Ramsay volesse riportare la Massoneria dal mondo della Riforma a quello del cattolicesimo, operazione tentata anche dai movimenti paramassonici martinisti.
[12] Hobsbawm, Ibidem p. 9.
[13] Le successive osservazioni sono desunte da Jeremy Adam Smith, How the Science of “Blue Lies” May Explain Trump’s Support – They’re a very particular form of deception that can build solidarity within groups, Scientific American, March 24, 2017.
[14] Jeremy Adam Smith, What’s Good about Lying?, Greater Good, February 8, 2017.
[15] Termine psicologico per falsità.
[16] Genyue Fu, Angela D. Evans, Lingfeng Wang, Kang Lee, Lying in the name of the collective good – a developmental study, Developmental Science, Volume 11, Issue 4 July 2008, pp. 495–503.
[17] Gli americani sembrano accettare le bugie dei servizi segreti perché questi operano per la sicurezza nazionale. Si veda Stephen F. Knott, America Was Founded on Secrets and Lies, Foreing Policy, February 15, 2016.
[18] Per i tempi attuali dice George Edwards, politologo alla Texas A & M: “La gente perdona le bugie contro le nazioni nemiche, e dato che oggi in America molte persone vedono quelli dall’altra parte politica come nemici, possono ritenere – quando le riconoscono – che siano strumenti di guerra appropriati”, Cit in Jeremy Adam Smith, How the Science of “Blue Lies” May Explain Trump’s Support…
[19] «Una ricerca di Alexander George Theodoridis, Arlie Hochschild, Katherine J. Cramer, Maurice Schweitzer e altri ha scoperto che questo tipo di bugie sembra prosperare in un clima di rabbia, risentimento e iper-polarizzazione. L’identificazione partigiana è così forte che le critiche al partito sono sentite come una minaccia a sé stessi, e questo innesca una serie di meccanismi psicologici di difesa». Cit. in Jeremy Adam Smith, Ivi.
[20] Molte sono le ricerche che segnalano che le falsità proliferano in un clima di forte competizione e di risentimento verso altri gruppi. Si vedano Alexander G. Theodoridis, Me, Myself, and (I), (D) or (R)? Partisanship and Political Cognition through the Lens of Implicit Identity, in https://www.dropbox.com/s/sgj1x71bjdqsqgb/Me_Myself.pdf?dl=0 e anche Jeremy A. Yipa – Maurice E. Schweitzerb, Mad and misleading: Incidental anger promotes deception, Organizational Behavior and Human Decision Processes, Volume 137, November 2016, pp. 207–217.
[21] Si veda D.J.Flynn, Brendan Nyhan, Jason Reifler, The Nature and Origins of Misperceptions: Understanding False and Unsupported Beliefs About Politics, Political Phycology (Department of Political Science, Lund University, Sweden), 26 January 2017.
[22] Yasha Beresiner nel suo Royal Arch Freemasonry in England, pubblicato in questo numero di Critica Massonica, dimostra quanto complesse furono le problematiche all’accettazione dell’Arco Reale nella costituenda Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
[23] D.J.Flynn, Brendan Nyhan, Jason Reifler, op. cit. Ibidem.
*Francesco Angioni
- Member of “Quatuor Coronati Correspondence Circle” (United Grand Lodge of England – London)
- Membre de “Groupe de Recherche Alpina” (Grand Lodge Suisse Alpina)
- Member of “Lodge of Research n. 2429” (United Grand Lodge of England – Leicester )
- Membro do “Quatuor Coronati Correspondence Circle Americas” (Brasil)
Editor di:
CRITICA MASSONICA INTERNAZIONALE – Rivista internazionale di storia, cultura e teoretica massonica
Blog: https://critica-massonica.webnode.it/
Fondatore del sito di studi massonici cittadelladelleliberemura.it
È stato allievo del Prof. Giuliano Di Bernardo presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento
8 commenti
Mi piacerebbe scrivere bene come Angioni per spiegare bene come la pensi diversamente da lui riguardo alla tradizione. Ci provo lo stesso, sperando di non scrivere cavolate. Per me la tradizione è una cosa che esiste e che va continuamente cercata. Cos’è che spinge gli uomini a camminare in processione, a cantare e pregare in coro, a ballare insieme, a produrre riti che imitano il corso degli astri o il succedersi delle stagioni, a nutrirsi insieme magari del corpo del nemico per acquisirne la forza o del Dio per diventare come lui? Possiamo dire che questi atti appartengono ad una tradizione o dobbiamo dire che appartengono alla tradizione? Per me è giusta la seconda. Ora, riguardo alla Massoneria, secondo me soggetti illuminati hanno pensato che gli uomini potevano affrancarsi dai dogmi della Chiesa e basare il progresso sul metodo scientifico e sulla ragione, così si sono prefissi di costruire una nuova umanità libera, prendendo a modello le Logge dei costruttori sul presupposto che le Cattedrali traducono in architettura l’armonia dell’universo. Hanno deciso di applicare parodie di tecniche costruttive edili alla costruzione della nuova umanità. Allora si può pensare che la trasposizione dell’armonia universale nella costruzione della nuova umanità sia una tradizione inventata? Per me no.
Danilo Di Mambro, credo che occorra fare una distinzione tra Tradizione, che ha sempre a che fare con un insegnamento tramandato nel tempo, e quei comportamenti che appartengono all’inconscio collettivo cui Lei si riferisce quando parla di, cito: “cantare e pregare in coro, a ballare insieme, a produrre riti che imitano il corso degli astri o il succedersi delle stagioni, a nutrirsi insieme magari del corpo del nemico per acquisirne la forza o del Dio per diventare come lui”. Questi ultimi non sono contenuti “tradizionali”, nell’accezione più congrua, ma appartengono a quei “prototipi” di coesione sociale, intorno a “luoghi” di pensiero universale, i quali precedono la coscienza individuale. Questi sono sorti nell’antichità, in una fase dell’evoluzione in cui l’essere umano era sì in grado di percepire il mondo intorno a sé, ma non aveva ancora sviluppato una vera e propria coscienza riflessiva (una “interiorità”, come la potremmo definire noi “moderni”). Perciò questi contenuti appaiono come “tradizionali” – perché radicati ed ancestrali – ma in realtà non lo sono. Poiché sono, in effetti, privi di un reale contenuto “iniziatico”. Contenuto che è appunto il consapevole “tramandamento” di una “posizione” (diciamo pure “metafisica”) sull’Essere.
Vincenzelio, secondo me gli insegnamenti iniziatici attingono a quello che lei chiama l’inconscio collettivo e ne sono la rappresentazione, la traduzione nei diversi ambienti. I primi possono essere inquinati il secondo no, resta sempre il punto di riferimento. È la sorgente grande di tante rappresentazioni iconografiche tradizionali, appunto, da cui se ne diramano altre molto più piccole (religioni, Massoneria, ecc.). Per questo penso che anche oggi si può “inventare” un rituale perfettamente tradizionale, purché si sia capaci di collegarlo alla sorgente grande. E per questo penso anche che i diversi autori che hanno insistito tanto sulla trasmissione tradizionale certificata, sbagliano.
Danilo Di Mambro, da un certo punto di vista Lei dice bene sostenendo il primo assunto, salvo che non basta dire che gli insegnamenti iniziatici sono la rappresentazione di archetipi, poiché ne sono sì la rappresentazione, ma portata ad una più alto livello conoscitivo.
Non solo: ne sono la rappresentazione mediata da un “sentire” che proprio perché ricognizzato va stratificandosi nel tempo (alcune volte addirittura si scollega da quelli!).
È questa stratificazione che costituisce (costruisce) l’insegnamento iniziatico.
La trasmissione diventa sia il veicolo della Tradizione, sia la Tradizione stessa.
Perché trattandosi di un insegnamento, la Tradizione non ha solo un contenuto metastorico, ma anche un contenuto storico, che è dato dall’utilità dell’insegnamento trasmesso per gli uomini in una data epoca ed in una determinata società.
Per questo non basterebbe “inventare un rituale perfettamente tradizionale”, affinché esso sia davvero “tradizionale”.
Perché la domanda dovrebbe essere: è “funzionante”?
Mancando di quella stratificazione capace di rendere effettivo e consono al tempo il “sentire” che ne è alla base, probabilmente non lo sarebbe.
L’insegnamento è qualcosa che va dimostrato “per fatti”. Ecco perché molte delle attuali Obbedienze sono oggi contro-iniziatiche, perché ciò che tramandano ha il valore iniziatico del nulla.
Vincenzelio, quando si parla di questi temi è come camminare sulle sabbie mobili. Se potessimo applicare il metodo scientifico alle indagini esistenziali procederemmo in modo sicuro, ma non è possibile. Allora fare riferimento agli archetipi consente secondo me di muovere passi più sicuri. Poi ognuno in questo campo è libero di credere ciò che più gli aggrada, ma è bene essere consapevoli che è un campo pieno di mitomani e si corre il rischio di costruire castelli sul nulla.
Caro Francesco Angioni, se fossi in grado di definire la “Tradizione” sarei perlomeno Gran Qualche Cosa 🤣 e invece sono un semplice fratello “in sonno”. Tra l’altro penso che le definizioni da trovare siano almeno due: quella che contiene le cose che vorrebbe dirci il Padreterno e che secondo me sono nascoste nelle spinte inconscie comuni agli uomini e alle comunità di tutto il mondo; quella degli uomini che hanno pensato di aver capito cosa vuole dirci il Padreterno e lo tramandano attraverso comunità, diciamo così, omogenee. Con linguaggi particolari ad ognuna di esse. Mi pare di capire che io sto cercando (con scarso successo) di parlare della prima, tu invece ti riferisci alla seconda. Mi concentro sulla prima perché è anche, ovviamente, il punto di riferimento, il piano di riscontro, per verificare la validità della seconda. Senza la prima, la seconda presenta i difetti cui tu fai cenno.
Caro Danilo e caro Vincenzelio,
la vostra discussione è interessante ma a mio giudizio fuori tema. Non discutete sulla mia tesi che la massoneria ha creato una “bugia blu”, cioè una tradizione inventata.
Voi due, con acume, discutete sul concetto di tradizione. Il mio testo assume una cifra ben circoscritta sulla parola tradizione, una cifra definibile “laica”, che prescinde da considerazioni esoteriche, metaesoteriche e metafisiche, e che ha fondamento su documenti e testimonianze storiche accertati come validi. La domanda alla quale dovreste rispondere, con l’onestà intellettuale che non vi manca, senza andare fuori tema, è: “la massoneria ha creato a tavolino una sua tradizione oppure la tradizione che da J. Anderson in poi è vera e documentariata in modo ineccepibile?”
A questo proposito vi inviterei a leggere con attenzione il mio scritto, nel blog qui presente, “Sulla mito-storia della massoneria”, essendo questo mio studio basato solo su documenti storici validamente accertati. Penso che molte “favole” riportate da massoni poco attenti alla verità storica, e più solleciti a proporre “verità ideologiche”, siano con esso ricondotte alla loro essenza. Il mio studio potrà aiutare a definire meglio il concetto di tradizione “in ambito massonico” e solo in questo. Concetto, quindi, che può differenziarsi in altri ambiti. Questo è il vero problema di tante discussioni tra massoni: confondere gli ambiti epistemologici e anche non saper tenere distinti i piani logici che caratterizzano le realtà diverse (vedasi B. Russell).
Fr. Francesco Angioni, sono uno degli amministratori dell’Uomo e la Massoneria sotto il nome di Marcello Scotti Ho letto il lavoro di David Stevenson che non conoscevo e per un caso mi sono imbattuto nei suoi due articoli che mi erano anch’essi sconosciuti. Dopo 50 anni di massoneria partendo da una formazione esoterica sono diventato deista, come in effetti lo era la GL del 1717, Le chiedo se posso pubblicare sul gruppo di cui sono uno degli amministratori i suoi due lavori di grande interesse, o se crede può pubblicarli lei stesso e sarebbe un grande onore. La ringrazio.