di Michele Campostella
Sfogliando il n° 5 della rivista Hiram del 1993, si scopre, a pag. 11, una lunga e dettagliata “testimonianza” dell’allora Gran Maestro aggiunto del Grande Oriente d’Italia Eraldo Ghinoi, dal quale si apprende che la Lettera “Epilogo”, indirizzata dal Gran Maestro Giuliano Di Bernardo ai Fratelli della Comunione, «stampata su carta intestata al Grande Oriente d’Italia e riservata al Gran Maestro, era stata diramata, a cura della Giunta, in data 23 aprile 1993, ai Maestri Venerabili della Comunione, ai Presidenti dei Collegi Circoscrizionali, ai Consiglieri dell’Ordine, agli ispettori di Loggia ed ai fratelli aventi diritto, con lettera di accompagnamento».
Perciò, tempi postali permettendo, è presumibile ritenere che già alla fine di aprile tutti gli affiliati al Grande Oriente d’Italia (ad esclusione dei cosiddetti “Apprendisti” e “Compagni di Mestiere”, non aventi diritto) fossero a conoscenza delle circostanze in essa riferite, e cioè che: «Il Gran Maestro assiste impotente all’opera di demolizione che i suoi oppositori interni stanno attuando con paziente e inarrestabile meticolosità», e che: «Essi, con il loro silenzio nei confronti del Gran Maestro e con la disobbedienza assunta come regola, hanno già di fatto attuata la scissione». E ancora che: «Il Gran Maestro non può garantire che massoni alla sua obbedienza non siano coinvolti in organizzazioni criminali, che essi non svolgano attività illecite di qualsiasi tipo e non appartengano a movimenti politici i cui fini non sono evidenti».
Tutto ciò, quindi, con qualche giorno d’anticipo rispetto alla pubblicazione della missiva sul settimanale “L’Espresso” del 2 maggio 1993, nella rubrica “Errori di stampa” di Andrea Barbato.
Nella “testimonianza” di Ghinoi si legge: «Immediatamente dopo le ore 16 del 16 aprile, Giuliano di Bernardo si recava presso lo studio notarile NEMCOVA in Roma, Via Salaria, 274, ove … veniva costituita un’associazione non riconosciuta denominata “GRAN LOGGIA REGOLARE D’ITALIA”». Fondatori, oltre egli stesso: Panke Stefano, Graziano Giuliano, Castellani Bruno, Tesi Roberto, Segré Marco, Rossano Felix, Pantaleoni Nerio e Morelli Giuseppe.
Ricorda Ghinoi che la costituenda “Associazione” si propose così, sulla scena massonica italiana: «l’unica, indipendente, indivisa, responsabile, autonoma e sovrana autorità per il governo, tramite i suoi corpi subordinati, su tutto il territorio della Repubblica Italiana, dei gradi della Pura e Antica Massoneria Universale, di seguito elencati: I. Grado di Apprendista iscritto; II. Grado di Compagno di Mestiere; III. Grado di Maestro Muratore compreso il suo complemento, denominato Supremo Ordine del Santo Arco Reale di Gerusalemme».
Ghinoi commenta: «Poi si dice che nel nostro Paese tutto va a rilento!» … «Nello spazio di pochissime ore di un pomeriggio volgente al termine, opportunamente distanziate, Giuliano Di Bernardo lascia il Grande Oriente d’Italia, con otto seguaci fonda una Associazione denominata Gran Loggia Regolare d’Italia, sottoscrive con essi un Atto Costitutivo formalmente corretto; ne riunisce il primo Consiglio Direttivo e, ovviamente, ne diviene Presidente. Quanta animazione!!!».
In realtà la fretta – la grandissima fretta – solo a voler capovolgere un poco la prospettiva, non appare affatto bizzarra…
Perché il Gran Maestro non era in fuga, non stava cioè “disertando”, come una successiva martellante propaganda avrebbe riferito nei trent’anni successivi. Egli non scappava affatto, dileguandosi alla macchia come un traditore, bensì si preoccupava, al contrario, di costruire per i Fratelli una nuova Casa, immaginandola più solida, adempiendo così alla promessa vergata di proprio pugno il 15 aprile, al momento di lasciare “Il Vascello” con il suo segretario Luigi Savina, tornando a vivere il proprio sogno di “Utopia Massonica”.
Un “sogno” tutt’altro che egoistico, ma anzi aperto a tutti «i Fratelli che sono idealmente legati a Lui» e che «non devono sentirsi abbandonati», poiché il Gran Maestro «sta per incamminarsi nel sentiero che conduce alla vera Massoneria ed è pronto ad accogliere con un abbraccio fraterno tutti coloro … che desiderano pensare e vivere secondo i nobili e antichi Principi della Massoneria Universale».
Preparare velocemente il “Tempio” capace di accogliere i Fratelli, era questa la preoccupazione del Gran Maestro in quei giorni di metà aprile del ’93.
Ma perché preoccuparsi tanto? E di cosa?
Ghinoi non se lo spiega proprio: «Le ragioni [ndr: di Di Bernardo] sono pretestuose ed ingiuriose, finendo con il generalizzare l’attribuzione di condotte illecite a tutto il Grande Oriente d’Italia ed ai suoi 18.000 aderenti, anziché operare la rigorosa e dovuta delimitazione delle responsabilità personali di alcuni membri, peraltro privi di qualsiasi incarico istituzionale e già sospesi».
«Già sospesi»… Ecco: la “sospensione” quindi, quante volte negli anni a venire questa soluzione sarà presentata come la panacea capace di sanare ogni male? Ma se è così, invece, si può ammettere che per la sensibilità del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo quel rimedio non fosse efficace né tantomeno sufficiente?
Come avrà modo di ripetere svariate volte, nel corso dei trent’anni successivi, la “sospensione”, infatti, anziché estirpare in modo netto e radicale situazioni di potenziale infiltrazione e pericolo, si limita – per così dire – a congelare il problema, senza una reale presa di posizione interna (cioè della Giustizia massonica) sulle condotte illecite dei Fratelli eventualmente coinvolti in attività criminali.
È – per intenderci – quello che sta avvenendo ancora oggi con l’affaire “Tumbarello”. Senza voler entrare troppo nello specifico, di fronte alle accuse circostanziate dei magistrati inquirenti (avvalorate anche dal verdetto del Tribunale del Riesame del 3 aprile 2023) circa il presunto “concorso esterno in associazione mafiosa” del medico campobellese del superboss ex-latitante Matteo Messina Denaro, la risposta dei vertici del Grande Oriente d’Italia è stata quella del mero provvedimento di “sospensione”, nonostante la richiesta pervenuta da molti membri della Comunione verta invece sul rispetto integrale dell’art. 187 del Regolamento dell’Ordine, che impone, al 2° Comma, la predisposizione da parte del Grande Oratore (una sorta di “pubblico ministero” interno all’Obbedienza) di una Tavola d’Accusa per condotta anti-massonica nei confronti dell’arrestato (integrante la “sospensione”, normativamente prevista dal 1º Comma). In questo modo si darebbe luogo non solo ad una più incisiva e plateale presa di posizione erga omnes circa il disvalore massonico (oltreché profano) del comportamento criminale alla base del provvedimento di restrizione della libertà personale del “fratello” indagato, ma anche a quel necessario presupposto giuridico “interno” per procedere con la successiva espulsione dall’Ordine del colpevole, in caso di condanna definitiva di fronte al giudice profano. Un presupposto giuridico, proprio quindi all’ordinamento massonico, che altrimenti viene a mancare.
Si può dar colpa a Di Bernardo se al “limbo”, allora come oggi, avrebbe preferito, in qualità di Gran Maestro, assumersi la totale e coraggiosa responsabilità di soluzioni tali da non prestare il fianco a dubbi di fronte all’opinione pubblica nazionale ed estera?
Egli afferma, nella Lettera “Epilogo”: «La società in cui noi massoni viviamo reclama ad alta voce ogni forma di pulizia. Il Gran Maestro ha promesso pulizia anche all’interno della Massoneria, ma Egli non può mantenere ciò che ha promesso, poiché non ha lo strumento pratico per farlo. Le Costituzioni vigenti dell’Ordine non gli danno il diritto di espellere i Fratelli indegni, i quali, di conseguenza, anche se sospesi, continueranno a far parte della Loggia di affiliazione fino all’emanazione della sentenza, che solo raramente contempla l’espulsione».
A ciò Ghinoi controbatte: «Il Prof. Di Bernardo, durante il Suo Magistero, non ha mai denunciato all’Organo di Governo coinvolgimenti di strutture del Grande Oriente d’Italia con fenomeni di malavita». E rincara: «Le Sue dichiarazioni … comproverebbero, da un lato, una omissione di atti dovuti, tali da impedire alla Giunta del Grande Oriente d’Italia di adottare le iniziative necessarie, dall’altro, una connivenza con tali fenomeni, avendone occultato l’esistenza».
A Ghinoi si potrebbe facilmente rispondere che le inchieste giudiziarie – fino a prova contraria – spettano ai magistrati civili, non certo al Gran Maestro del G.O.I., e che comunque le iniziative che avrebbe potuto porre in essere la Giunta, nel ’93, non erano in grado, di fatto, di andare oltre i poteri che lo stesso Gran Maestro Di Bernardo non aveva.
Detto questo, tuttavia, è a pag. 167 del libro di memorie di Gian Piero Pagella (nel ’93 al “Vascello” in qualità di componente della Commissione voluta per trasformare l’annuale Rendiconto finanziario e di cassa del G.O.I. in un vero e proprio Bilancio di competenza) “Un massone racconta” (edito da Bastogi nel dicembre 2006) che sembra palesarsi un’altra verità: «Giuliano Di Bernardo [ndr: l’occasione è una riunione datata 14 novembre 1992, cioè nel momento più cruento dell’inchiesta del Procuratore Agostino Cordova] proibì nel modo più assoluto a tutti i Fratelli, compresi i membri di Giunta, di rilasciare dichiarazioni ufficiali sulla Massoneria … Poi, con voce grave, chiedendo ad Alfredo [ndr: Diomede, Gran Segretario] di non verbalizzare ciò che stava per dire, continuò: — Qualche giorno fa … Virgilio Gaito, cui la Giunta ha affidato, in concorso con l’avvocato penalista suo omonimo Enzo Gaito, l’incarico di consulente legale in tutte le deprecabili vicende che ci vedono coinvolti … a nome anche del suo omonimo ha sollecitato un nostro incontro in ambiente esterno al Vascello, ancora frequentato dai collaboratori di Cordova … In un ristorante i due legali mi hanno messo al corrente che tutti i telefoni del Grande Oriente d’Italia e di ognuno di noi, nessuno escluso, sono sotto intercettazione e, cosa ben più grave, gli inquirenti hanno pronti i mandati di cattura per tutti i Membri di Giunta … Mi consigliarono di recarmi senza indugio a Palmi chiedendo un incontro con il Procuratore per tentare di scongiurare gli effetti di quei gravissimi provvedimenti. Nel più breve tempo possibile partii per la Calabria, Cordova si negò, ma mi ricevette il sostituto Neri, al quale prestai una deposizione spontanea. In essa … rigettavo qualsiasi ipotesi di collusione malavitosa che avrebbe coinvolto il Grande Oriente d’Italia come istituzione. Non potevo certo impegnarmi per ogni singolo Fratello delle molte migliaia affiliate alla nostra Comunione, ma mi obbligavo a sottoporre agli inquirenti qualsiasi caso connesso all’inchiesta in cui fossi incappato. Ad un certo punto il sostituto, indicandomi una pila vertiginosa di fascicoli mi disse che anche in massoneria esistevano i pentiti e che essi non erano soltanto quattro, come avevano pubblicato i giornali, ma molti di più, rappresentati da tutti quei fascicoli —».
Pagella, a questo punto, ricorda di essere intervenuto: «Gran Maestro, sei riuscito a sapere se tutti quei fascicoli documentavano “il pentimento” di Massoni del Grande Oriente d’Italia o se si riferivano ad appartenenti ad altre organizzazioni sedicenti massoniche?», risponde Di Bernardo: «Nel gruppo ci sono sicuramente molti dei nostri».
Da queste “memorie” sembra uscire un Di Bernardo molto differente dal “fellone” della vulgata. Egli, infatti, informato dell’estrema gravità della situazione, si precipita a Palmi e, spendendo la sua credibilità, opera per salvare il Grande Oriente d’Italia (l’arresto dei membri della Giunta sarebbe stato la pietra tombale sulla Comunione), difende l’Obbedienza quale istituzione massonica slegata dal comportamento dei singoli (che pure vorrebbe espellere, quando collusi, senza però poterlo fare) e non tace ai membri di Giunta che vi sono, agli atti dei magistrati, molte risultanze (che ignorava nella loro «vertiginosa» quantità) capaci – con ragionevole probabilità – di far tornare le lancette dell’orologio ai tempi della famigerata “P2”.
La “P2”, appunto… la quale non costituiva, per la verità, una preoccupazione del solo Di Bernardo: egli, infatti, di ritorno da un importante incontro internazionale a Vienna, avvenuto il 18 settembre 1992 in occasione del duecentocinquantesimo anniversario della fondazione della Massoneria austriaca, aveva già avuto modo di informare la Giunta del G.O.I. delle giustificate apprensioni che investivano la Massoneria italiana (come riferito da Pagella in “Un massone racconta”, pag. 157), ormai percepita all’estero come il “ventre molle” del circuito europeo.
Ventitré Grandi Maestri riuniti per l’occasione avevano espresso il loro disagio di fronte a quella che per alcuni costituiva una certezza: il G.O.I. stava per partorire un nuovo devastante “scandalo P2”; peraltro in un momento nel quale non era solo la Massoneria continentale ad essere sotto attacco (con i casi eclatanti dell’Austria, del Belgio e persino della Svizzera…), ma lo era addirittura quella inglese!
Certo, si può anche comprendere che questi timori non fossero di Ghinoi, il quale commenta – sempre nei ricordi di Pagella (pag. 139) – nel corso di una riunione di Giunta del 12 agosto 1992: «Del resto la volontà eversiva della P2 è ancora tutta da dimostrare», ma tant’è!
Le conclusioni, ancora una volta, non le riserviamo a noi, ma all’onestà intellettuale di Virgilio Gaito, attento lettore dell’animo del Gran Maestro in quei mesi difficili, il quale ricorda, a pag. 57 del suo libro “Massoneria, un amore” (edito da Pontecorboli nel gennaio 2017), di come: «Cordova non fu tenero con Di Bernardo e col suo segretario Luigi Savina, che sottopose a lunghi interrogatori seguiti anche dall’arresto per reticenza, poi revocato, del fratello Aldo Fanelli, custode della villa Il Vascello, che aveva accompagnato il Gran Maestro a Palmi come autista. L’effetto psicologico di tutto ciò su un uomo non avvezzo ad essere inquisito come Di Bernardo [ndr: vivaddio!!!], sicuramente terrorizzato da un tenace indagatore come Agostino Cordova, produsse la convinzione di essere nelle mani di un’organizzazione criminale»…
Per Di Bernardo, molto prosaicamente, quella non era più Massoneria. E sul presupposto di tale convinzione, maturata all’estero e consolidata a Palmi, cosa fece il Gran Maestro?
Ecco la colpa della quale lo si accusa: «Preferì preparare con alcuni suoi fratelli più fidi la costituzione della cosiddetta Gran Loggia Regolare d’Italia o GLRI, sotto gli auspici della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, che stava per revocare il riconoscimento al G.O.I. a causa delle infiltrazioni malavitose di cui parlavano i mass media e delle quali egli era ormai convinto, così come della impossibilità di realizzare il suo programma fortemente ispirato al modello inglese».
Non ci pare di dover aggiungere altro, se non la recita del Salmo 126: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori / Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode».